I cambiamenti delle tecniche di coltivazione che sono avvenuti a partire dalla metà degli anni ‘50 del XX secolo hanno causato una drastica riduzione della diversità del paesaggio agricolo. L’impiego su larga scala delle macchine agricole ha comportato un drastico aumento delle dimensioni degli appezzamenti, la diffusione della monocoltura, la forte riduzione dei margini erbosi e delle siepi campestri, il massiccio utilizzo di diserbanti ed insetticidi. Al contrario, nelle aree agricole alto collinari e montane meno redditizie si è verificato un massiccio abbandono delle coltivazioni, accompagnato dalla riconquista di molte di queste superfici da parte del bosco. In ambedue i casi, la conseguenza netta di questi radicali cambiamenti è stata una rilevante diminuzione di quelle specie animali legate da tempo immemorabile agli ambienti agricoli. In genere, su stampa e televisione viene posta una grande enfasi sull’impiego in agricoltura dei cosiddetti pesticidi: una traduzione maccheronica dell’inglese “pesticide”, che significa antiparassitario. Tuttavia, anche se molte sostanze chimiche utilizzate in agricoltura possono avere un impatto pesante su molte specie di vertebrati e di invertebrati, esse rappresentano solo una parte del problema e forse nemmeno la più rilevante. Il maggiore impatto di questi prodotti non è infatti dovuto, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, direttamente alla loro tossicità nei confronti delle varie specie animali. In realtà, sebbene alcune sostanze, soprattutto fungicidi ed insetticidi, possono in alcuni casi ridurre la forma fisica degli animali selvatici e quindi diminuire la loro sopravvivenza e capacità riproduttiva, gli effetti più negativi che esse producono sono di tipo indiretto. L’effetto micidiale derivante dall’impiego dei diserbanti è infatti dovuto alla loro capacità di interrompere la catena alimentare che consente la crescita e lo sviluppo dei pulcini di molte specie di uccelli, in primo luogo fagiani, starne, pernici rosse, ecc. Nelle prime settimane di vita è vitale per questi pulcini nutrirsi di insetti, perché questi invertebrati forniscono loro le proteine che sono indispensabili per il loro naturale sviluppo e quindi per la loro sopravvivenza. I diserbanti, eliminando le erbe infestanti, provocano a loro volta un’estrema rarefazione degli insetti di cui si nutrono i pulcini e così facendo finiscono per decretare la morte di questi piccoli esseri.
Per quanto riguarda l’avifauna caratteristica degli ambienti agricoli e la piccola selvaggina, la varietà delle colture, la dimensione degli appezzamenti, la presenza di elementi del paesaggio come le siepi, le prode erbose dei campi, i boschetti, la vegetazione che ricopre le rive dei corsi d’acqua, le macchie, gli arbusteti, ecc. rivestono un’importanza fondamentale. Questo tipo di paesaggio agricolo è infatti in grado di assicurare a questi piccoli animali abbondanti risorse alimentari e numerosi ambienti di rifugio e nidificazione, gli uni strettamente collegati agli altri, in modo tale da ridurre per loro al minimo il rischio di predazione durante le fasi di alimentazione. A ben guardare, la ragione per la quale l’agricoltura, promiscua e parcellizzata, praticata prima degli anni ‘50 risultava estremamente vantaggiosa per la piccola selvaggina risiedeva proprio nella stretta vicinanza tra ambienti di alimentazione e ambienti di rifugio e di conseguenza nella maggiore difesa dalla predazione che essa era in grado di offrire. Non è quindi un caso, con buona pace del mondo ecologista, se la tanto osannata agricoltura biologica, nonostante il minimo o nullo impiego dei pesticidi che essa comporta, non riesca di fatto a generare alcun apprezzabile incremento di avifauna e di piccola selvaggina. Essa, infatti, non è assolutamente in grado di modificare il fattore ecologico veramente negativo, ovvero l’appiattimento dell’ambiente agricolo provocato dalla meccanizzazione delle varie operazioni colturali.
Per avere una agricoltura davvero sostenibile che preservi o ripristini buoni livelli di biodiversità e che sia favorevole alla piccola selvaggina occorrerebbe dunque favorire una maggiore diversificazione dell’odierno paesaggio agricolo. Questa possibilità, contrariamente a quanto in genere si ritiene, è in realtà già prevista dalle politiche agricole comunitarie attraverso la cosiddetta condizionalità, che andrebbe in ogni caso ulteriormente migliorata e resa sempre più incisiva.
In ogni caso già oggi e con modica spesa si possono mettere in campo una serie di accorgimenti molto utili, a partire ad esempio da una diversa gestione dei terreni lasciati a riposo, il cosiddetto set-aside. Lasciare una certa percentuale di campi a riposo, ma gestiti con pochi e mirati interventi, si è dimostrato un intervento molto favorevole per diverse specie caratteristiche dell’ambiente agricolo. In questo senso, anche il semplice mantenimento sul terreno di alcuni appezzamenti di stoppie di cereali consente la creazione di un habitat importantissimo per molte specie. Tanto per fare un esempio: lasciando un 10% di terreno a stoppia, è stato dimostrato che è possibile fermare il declino dell’allodola. Sono possibili anche degli accorgimenti per migliorare la presenza degli insetti utili per l’alimentazione dell’avifauna ed aumentare i siti idonei alla nidificazione di alcuni uccelli, come appunto il fagiano, la starna, ecc. Il più importante tra questi interventi è quello denominato “conservazione dei margini campestri” (in inglese: “Head conservation”). Si tratta di una misura agro-ambientale messa a punto in Inghilterra negli anni ‘80, avente lo scopo di favorire la presenza di erbe e insetti lungo i bordi degli appezzamenti dei cereali a semina autunnale. In questo caso viene evitato l’uso di diserbanti ed insetticidi per una fascia di 6 metri dal margine esterno dell’appezzamento. Questa misura è risultata molto utile per i pulcini delle starne e dei fagiani perché, fornendo un’ingente quantità di insetti proprio nella fascia di campo maggiormente frequentata dalle nidiate, ne consente uno sviluppo ottimale e di conseguenza un’elevata sopravvivenza. Gli esperimenti effettuati hanno chiaramente dimostrato come questo accorgimento consenta una sopravvivenza doppia dei pulcini di starna rispetto alle aree dove si fanno trattamenti chimici su tutto l’appezzamento.
Un’altra misura che è stata adottata in molti Paesi europei è quella della realizzazione di strisce inerbite e/o fiorite lungo i margini degli appezzamenti, le cosiddette “banchine per gli insetti” (in inglese: “Beatles banks”). Queste strisce possono essere utilizzate anche per spezzare i campi di maggiore dimensione (da 15-20 ha in su), in modo da ridurre la monotonia ambientale. Esse possono venire seminate utilizzando miscugli specifici oppure lasciate sviluppare naturalmente, con costi praticamente risibili. Tali strisce aumentano la biodiversità nel paesaggio agricolo e attirano vari tipi di insetti benefici, come gli insetti impollinatori, gli insetti predatori degli insetti che arrecano danno alle colture cerealicole. Queste aree possono rappresentare degli ottimi habitat di nidificazione per i galliformi e per l’alimentazione naturale della loro prole. Tuttavia la realizzazione di queste strisce deve essere attuata con estrema attenzione. Esse, infatti, possono trasformarsi in una vera e propria autostrada per i predatori terrestri, come la volpe, che così possono individuare i nidi con maggiore facilità. Pertanto queste strisce devono essere realizzate in modo che le loro estremità, testa e coda, risultino sufficientemente distanti dagli ambienti di rifugio dei predatori. In ogni caso, la loro messa in opera deve essere accompagnata da interventi di controllo della predazione. L’Unione europea ha messo in campo con la nuova Politica agricola comune, la Pac (2023-2027), delle misure per la tutela della biodiversità delle aree agricole. Fra queste la principale è quella degli Eco-schemi, cioè dei pacchetti di misure agro-ambientali che prevedono dei finanziamenti per coloro che li realizzano sui propri terreni. Per quanto riguarda l’Italia, il ministero delle Politiche agricole e forestali non ha purtroppo previsto interventi specifici per la tutela della fauna selvatica. L’unica misura di un certo interesse per la gestione faunistico venatoria è quella delle colture per gli impollinatori. Si tratta di un sostegno (fino a 500 euro/ha) a quegli agricoltori che destinano una parte dei propri terreni per coltivare miscugli di piante erbacee che attirano questo tipo di insetti. Questi appezzamenti possono essere molto attrattivi anche per le specie avicole, soprattutto per la nidificazione e l’allevamento dei piccoli. Tuttavia tale misura si presenta conveniente per le aree collinari e marginali, ma difficilmente profittevole per quelle ad agricoltura più intensiva, cioè dove sarebbe più necessaria.
L’aspetto più interessante ed utile della Politica agricola comune è invece quello che va sotto il nome di “condizionalità rafforzata”. Significa che l’agricoltore che vuole avere accesso a qualunque tipo di finanziamento dell’Unione europea deve rispettare obbligatoriamente delle “Buone condizioni agronomiche e ambientali” (Bcaa).
Fra le Bcca di maggiore interesse faunistico venatorio ci sono la Bcaa 3, che prevede il divieto di bruciare le stoppie, e la Bcca 4, che contempla l’introduzione di fasce tampone, ovvero il divieto di distribuire fertilizzanti e agrofarmaci sui terreni adiacenti ai corsi d’acqua. Tali fasce devono avere un’ampiezza di 3 metri e rimanere stabilmente inerbite, spontaneamente o seminate. Da tenere presente anche la Bcaa 6, che prevede invece la copertura minima del suolo, ovvero la copertura vegetale dei terreni agricoli a seminativo per 60 giorni consecutivi nell’intervallo di tempo compreso tra il 15 settembre e il 15 maggio successivo, mantenendo la copertura vegetale naturale (inerbimento spontaneo) o seminandola oppure lasciando in campo i residui della coltura precedente, fatta salva l’esecuzione delle fasce tagliafuoco. Ugualmente interessanti sono, infine, la Bcca 7, che prevede l’obbligo di rotazione su ogni singola particella, e la Bcca 8, che prevede l’obbligo di lasciare almeno il 4% dei seminativi dell’azienda agricola a riposo (escluse le aziende con meno di 10 ha).
Altre misure potrebbero essere previste nei vari Piani di sviluppo agricolo delle singole regioni italiane, ma per raggiungere questo importantissimo obiettivo occorrerebbe un forte impegno delle Associazioni venatorie, Fidc in testa, per far sì che anche nel nostro Paese risulti possibile incentivare gli agricoltori a realizzare gli interventi di miglioramento ambientale a favore della piccola selvaggina descritti in precedenza e peraltro già da tempo attuati, grazie all’impegno dei rispettivi mondi venatori, in tanti altri Paesi europei.
Tratto da “Ambiente agricolo e piccola selvaggina”, di Roberto Mazzoni Della Stella, Caccia & Tiro 10/2024.
Sono possibili anche degli accorgimenti per migliorare la presenza degli insetti utili per l’alimentazione dell’avifauna ed aumentare i siti idonei alla nidificazione di alcuni uccelli, come il fagiano, la starna, ecc. – Foto Milko Marchetti