Da questo numero iniziamo un viaggio attraverso le Regioni della caccia italiana, per tracciare una fotografia di ciò che accade in specifiche aree, ma soprattutto tastare il polso della gestione, dei progetti in atto, delle problematiche e dei rapporti con opinione pubblica, istituzioni e forze dell’ordine. Siamo consapevoli di quanto ogni singolo argomento trattato possa necessitare di approfondimenti e specifiche, ma tracciare un disegno generico della situazione può comunque agevolare la comprensione, fornire una visione di massima e magari aiutare a riordinare le idee. Iniziamo il nostro viaggio dalle Marche, caratterizzate da una costa molto antropizzata, colline per la maggior parte coltivate e un’area appenninica di notevole interesse faunistico. In questa regione sussistono un po’ tutte le tipologie di caccia, da quelle storicamente praticate a quelle, come la caccia al cinghiale e al colombaccio, che hanno visto un notevole aumento negli ultimi anni. Dei vari aspetti inerenti all’attività venatoria marchigiana parliamo con Nazzareno Galassi, vicepresidente dell’Atc Mc2 e vicepresidente regionale Federcaccia.
Cosa può dirci, in generale, della caccia nelle Marche? Qual è, ad oggi, lo stato dell’arte?
Posso dire che abbiamo ottenuto per i cacciatori tutto quello che la legge ci permette di avere, come specie di apertura e specie in deroga: piccione, storno e tortora dal collare. Siamo riusciti ad ottenere tre deroghe ed è un bel traguardo. Per pavoncella, moriglione e combattente c’è stato un ricorso al Tar Marche, che si è pronunciato lo scorso 21 ottobre respingendo le istanze di sospensione, avanzate dalla Lac e dalla Associazione vittime della caccia, nei confronti del calendario venatorio regionale 2020/2021. Purtroppo ormai ci siamo abituati, ogni anno qualche associazione ambientalista fa ricorso, a prescindere, e noi ci difendiamo nelle sedi legali. Nonostante questa situazione non siamo mai scesi a patti pensando di prevenire i ricorsi e chiedendo meno di ciò che avremmo potuto: abbiamo sempre chiesto tutto ciò che era previsto dalle norme, nulla di meno.
Oltre ai ricorsi, quali sono le maggiori problematiche oggi?
Fino a qualche anno fa l’attività di controllo attraverso piani di abbattimento, per tutte le specie consentite, veniva effettuata secondo quanto previsto dall’articolo 25 della legge regionale 7/95. Potevano attuare i piani di abbattimento, oltre alla Polizia provinciale, anche le guardie venatorie volontarie e gli operatori faunistici, formati attraverso la partecipazione a specifici corsi. Tutto proseguiva nel migliore dei modi e riuscivamo a prevenire in maniera efficace i danni da cinghiale, volpe, corvidi, piccione e nutria. La sentenza della Corte costituzionale (la n. 139 del 23 maggio 2017) di fatto ha ribadito che i soggetti che possono attuare piani di controllo sono solo Polizia provinciale e cacciatori proprietari o conduttori dei fondi dove si esercita il piano, oltre ad agenti della Polizia municipale muniti di licenza di caccia (che realisticamente difficilmente riescono a farlo). Tutto questo ha portato ad un peggioramento della situazione e le cifre dei danni da fauna sono aumentate vertiginosamente. Faccio un esempio relativo al mio Atc, il Mc2. Con i piani di abbattimento effettuati secondo la legge regionale per i danni da piccione pagavamo al massimo 1000 euro, ora superiamo i 20.000 euro, nonostante la buona volontà della Polizia provinciale. Una recente sentenza ha però ribadito che i soggetti previsti dall’articolo 25 sono legittimi. Siamo in attesa dell’applicazione della sentenza, che potrebbe risolvere queste problematiche.
Come è cambiato il trend nelle Marche, per ciò che riguarda tipologie di caccia e numero dei cacciatori?
Sicuramente è aumentata la caccia al colombaccio, cacciabile dalla preapertura alla chiusura. È cresciuta anche la caccia al cinghiale. Per quanto riguarda i numeri, invece, c’è un certo calo fisiologico dei cacciatori, anche se ultimamente ci sono stati molti più giovani rispetto all’anno precedente. Non numeri esorbitanti ma segno, forse, di un’inversione di tendenza.
Quali progetti di gestione state portando avanti?
Ne abbiamo diversi. C’è il progetto per la lepre, che ha portato buoni risultati nell’Atc Mc2. A settembre mettiamo i leprotti non vaccinati in recinti di ambientamento, a gennaio li catturiamo e li reintroduciamo, sempre senza vaccinarli. Utilizziamo anche molto irradiamento naturale, visto che nelle Marche abbiamo zone collinari che garantiscono il successo di questo metodo. Un altro progetto che portiamo avanti è il progetto Starna: immettiamo a giugno/luglio, ogni anno, 3000 starnotti ambientati in appositi cestoni, per cui si è creato in ogni comune un gruppo di lavoro, fatto che responsabilizza molto i cacciatori. Molti cacciatori vengono anche da fuori regione, oltre che per la migratoria anche per la cospicua presenza delle starne. Ora abbiamo riscontrato anche degli esemplari che si riproducono in maniera naturale, è successo un po’ in tutto l’areale vocato. Negli Atc dove si è invece semplicemente chiusa la caccia alla starna di fatto non c’è la presenza di questo selvatico: o c’è un progetto di cui si interessano i cacciatori o non si riesce ad incrementare la presenza del selvatico. Siamo l’esempio lampante che la gestione nel tempo paga. Portiamo avanti anche un progetto sulle zone umide, soprattutto piccoli specchi d’acqua: manteniamo da marzo a maggio un livello costante dell’acqua che permette ai piccoli limicoli di sostare e pasturare. Per la prima volta nelle Marche ha svernato un cavaliere d’Italia e quest’anno ne abbiamo avuti molti esempi. Anche per quanto riguarda la coturnice, presente nelle zone adiacenti al Parco nazionale dei Monti Sibillini, portiamo avanti un progetto: abbiamo creato delle aree di rispetto venatorio specifiche per la coturnice, dove si caccia da ottobre a novembre; nei primi 7 giorni il prelievo, basato sui piani di gestione come previsto dal Piano nazionale della coturnice, è effettuato esclusivamente dai cacciatori che hanno fatto l’apposito corso e che quindi sono abilitati al prelievo. Attualmente sono 60 i cacciatori e possono partecipare ai corsi anche i non residenti, fermo restando che il cacciatore proveniente da un’altra regione non può prelevare la coturnice se non ha quella specie nel suo calendario venatorio. Anche il miglioramento dell’habitat ci tiene molto impegnati. Sulle nostre montagne sono quasi scomparsi gli animali a pascolo, quindi c’è necessità di mettere in atto miglioramenti, in particolar modo effettuando la trinciatura dei prati naturali, che altrimenti perderebbero la loro valenza come ambiente. I cacciatori abilitati, inoltre, collaborano alla gestione e fanno il monitoraggio della coturnice con i cani, come previsto dalle linee guida dell’Ispra dal 10 agosto a fine agosto. Viene anche effettuato, dal tecnico faunistico dell’Atc Mc2 Andrea Brusaferro, il censimento al canto nel periodo primaverile. I dati di monitoraggio e censimento vengono utilizzati per stilare i piani di prelievo. A livello regionale abbiamo anche effettuato la raccolta delle ali di tortore, per avere dati sul rapporto giovani-adulti. Questo dato è stato speso anche in Commissione europea dall’Ufficio avifauna migratoria Fidc e ci ha permesso di poter effettuare il prelievo alla tortora.
Qual è il rapporto con l’opinione pubblica nelle Marche?
Credo che il rapporto con i non cacciatori possa essere buono, è solo una questione di conoscenza e comunicazione. Ad esempio sono anni che portiamo avanti un progetto con le scuole, con lezioni per parlare di gestione, habitat e specie selvatiche. Nei bambini abbiamo riscontrato molto interesse, ci hanno fatto tante domande e anche gli insegnanti, nonostante qualche perplessità iniziale, hanno poi compreso l’utilità di mantenere l’equilibrio tra le specie e che la caccia è parte dell’ingranaggio che permette di mantenere questo equilibrio. Quest’anno, in collaborazione con le federcacciatrici Marche, è nato un altro progetto: andremo a fare delle lezioni a scuola con il tecnico faunistico, poi, dopo le lezioni a scuola, nel periodo di marzo-aprile effettueremo la visita guidata per mostrare le specie nel loro habitat. Da anni, inoltre, facciamo comunicazione su tutti i quotidiani, rispondendo puntualmente alle questioni inerenti alla caccia e abbiamo anche una pagina istituzionale periodica su ‘Il Resto del Carlino’. Credo che la maggioranza delle persone non sia contro la caccia. Certo, c’è chi è molto integralista in merito, ma quando parli di prelievo venatorio come tassello della gestione quasi tutti ne comprendono la valenza.
Il vostro rapporto con le istituzioni?
C’è sempre stato un buon rapporto con le istituzioni, a livello provinciale e regionale. C’è inoltre un’ottima collaborazione tra le guardie volontarie venatorie e la Polizia provinciale. Tutto questo fa la differenza sia a livello politico sia a livello pratico, a supporto dei cacciatori, che hanno un punto di riferimento.
Collaborate anche con parchi e aree protette?
Un’apertura c’era stata, con il Parco dei Monti Sibillini quando il direttore era Franco Perco, ma attualmente non c’è un rapporto di collaborazione, che invece sarebbe auspicabile per tutti. Ad esempio ci sono più coturnici all’esterno del Parco dei Sibillini che all’interno e questo la dice lunga sul possibile contributo che i cacciatori potrebbero dare. Non siamo mai riusciti ad instaurare una collaborazione stretta. Anche per quanto riguarda la gestione del cinghiale nel Parco del Conero non c’è collaborazione. È anche vero che non essendoci una filiera della carne di selvaggina ci sarebbe anche il problema di cosa fare con le carni, ma stiamo lavorando anche a questo.
“Nelle Marche della caccia” di Valeria Bellagamba, Caccia & Tiro 11/2020.