LABORATORIO ABRUZZO

Tre parchi nazionali, un parco regionale e 38 aree protette tra oasi, riserve regionali e riserve statali, in totale il 36,3% del territorio regionale, sono valsi all’Abruzzo la definizione di “Regione verde d’Europa”. Ma quello che a buon diritto costituisce un vanto, spesso si rivela un peso per chi ha una visione dinamica della fruizione ambientale e non museale. Tra questi vi sono i cacciatori, rappresentati in massima parte dalla Federcaccia e dal suo presidente regionale Ermanno Morelli.

Spesso avete manifestato in sede politica la vostra contrarietà non alla presenza di aree protette, ma al loro allargamento o all’applicazione di regolamenti troppo penalizzanti per le attività che in quelle aree si svolgono. Può fornirci una breve cronistoria di questa “lotta”?
Dall’approvazione della L.394/91, l’Abruzzo ha subito una abnorme aggressione, in termini di estensioni territoriali, non riscontrabile in nessun’altra regione italiana. A riguardo, ci furono reazioni popolari che occuparono pagine intere sulla stampa locale. Gli agricoltori, i cacciatori, i pescatori e le popolazioni delle aree interessate, con a capo i loro sindaci, si opposero democraticamente organizzando innumerevoli manifestazioni con migliaia e migliaia di persone. Purtroppo le esigenze di sopravvivenza del Governo dell’epoca mantennero ferma la decisione presa di cedere agli ambientalisti una fetta del territorio italiano, creando così Enti parco in grado di impiegare tanto personale. L’Abruzzo tutela in termini di aree protette a vario livello oltre il 40% del suo territorio che, sommato ai territori che a vario titolo (Zrc, oasi, aree cinofile, fondi chiusi, strade, ferrovie ecc.) risulta non aperto alla caccia per oltre il 72%”.

Nel maggio scorso il Consiglio regionale, per la prima volta, ha deliberato la riduzione di 10.000 ettari per il Parco naturale regionale Sirente Velino. Avete avuto un ruolo in ciò? Come avete accolto la decisione consiliare?
Nel 1998 in Consiglio regionale riuscimmo a far istituire una Commissione d’inchiesta (io sedevo fra le fila dell’opposizione) per valutare gli effetti dei Parchi sulle popolazioni e sulle loro attività. Fu dato mandato all’Università di Pescara-Chieti di realizzare uno studio che valutasse tali effetti. I risultati furono preoccupantissimi, ma l’allora maggioranza riuscì a non far arrivare le conclusioni dell’inchiesta in Consiglio, aiutati dal fatto che si era giunti ormai alla fine della Consiliatura. In quella ricerca si riportava chiaramente che con l’istituzione dei Parchi era ripartito fortemente lo spopolamento delle aree interne, e le attività commerciali, artigianali, piccolo alberghiere, ecc. chiudevano in elevate percentuali. Ancora oggi la legge istitutiva dei Parchi è applicata per metà, in termini anti-uomo e contro le sue attività. Federcaccia è stata sempre al fianco delle popolazioni e a tutela delle loro attività, per cui la riduzione dell’estensione del Parco regionale di 10.000 ettari l’abbiamo accolta positivamente perché, finalmente, si è dato un chiaro segnale a chi pensa di continuare a vivere con assunzioni in quegli Enti. Aggiungo che un Paese serio, che necessita fortemente di rivedere le proprie spese improduttive, dovrebbe, da subito, deliberare nel senso indicato dal ministro Edo Ronchi all’epoca del suo mandato (dal 1996 al 2000 – Ndr): finanziare i parchi per cinque anni dalla loro costituzione, dopodiché, o sono in grado di vivere autonomamente, oppure si chiudono”.

Un’accusa che vi viene mossa è che, allargando le maglie protezionistiche, si apra la strada alla cementificazione…
Noi non lo vogliamo assolutamente! L’Abruzzo ha una popolazione di circa 1.300.000 abitanti, per un’estensione di oltre 1.000.000 di ettari, per lo più concentrati nelle zone costiere. La nostra regione deve incentivare il ritorno a una equilibrata demografia che, tra le tante cose positive, troppo numerose da elencare, aiuterebbe a ridurre gli effetti negativi dell’abbandono di quelle terre per le quali i parchi nulla fanno in concreto”.

Un altro vanto dell’Abruzzo è che il suo territorio garantisce la sopravvivenza del 75% di tutte le specie animali europee ed è la patria di alcune specie rare come l’aquila reale, il lupo appenninico, il camoscio d’Abruzzo e l’orso marsicano. I cacciatori possono dare un aiuto alla loro tutela?
Certamente, ne abbiamo le competenze e il potenziale umano. Ma, come ho già detto, noi lo faremo se ammessi pariteticamente agli altri nelle fasi gestionali e decisionali. Non saremo mai manodopera per altri, le cui scelte, peraltro, non condividiamo e i cui risultati fortemente negativi sono sotto gli occhi di tutti”.

Ultimamente l’Abruzzo sta ospitando diverse competizioni cinofile nazionali. Il merito va ascritto alle caratteristiche del territorio? Quali sono i campi gara da segnalare?
Il nostro Abruzzo è terra venatoria meravigliosa. Grazie alla presenza di territori naturali immensi, possiamo affermare senza ombra di dubbio che l’Abruzzo è un Eden cinofilo. Peccato che gran parte di esso è inibito agli uomini. La provincia dell’Aquila è, nella sua totalità, meravigliosa per ambiente e fauna. La provincia di Chieti è altrettanto bella: segnalo il territorio di Castiglione Messer Marino, località ormai stabile di una prova cinofila nazionale. Ma anche Teramo e Pescara non sono da meno”.

Che tipi di caccia si praticano in Abruzzo? E lei quali preferisce?
Le nostre cacce tradizionali sono state: lepre, starne e coturnici, oltre alla migratoria. Oggi ci siamo dovuti modernizzare: fagiani, lepri, qualche starna, qualche coturnice e molto cinghiale. Speriamo a breve di avviare con la Regione il percorso per cacciare caprioli e cervi: il primo ha avuto un fortissimo incremento in tutta la regione, il cervo ha discrete presenze in molti areali di Teramo, Pescara e Chieti, mentre all’Aquila è a livelli preoccupanti per i danni boschivi, sanitari e per la sicurezza stradale. Le mie preferenze venatorie sono andate, nei primi anni di licenza, alle nostre specie tradizionali: starne, fagiani, lepri e volpi. Poi il segugismo ha prevalso e grandi amicizie in quel di Todi, di Terni e di S. Elia di Rieti (e la fortuna di avere un eccezionalissimo cane) mi hanno dirottato sulla caccia al cinghiale. All’epoca in Abruzzo si praticavano ancora i ripopolamenti di questa specie e la caccia non era consentita. Conservo dei bei ricordi, sia come cacciatore, sia come semplice socio Federcaccia”.


Tratto da “Laboratorio Abruzzo”, di Marco Calvi, Caccia & Tiro 8/2021.


Il massiccio del Sirente Velino con le cime innevate.

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