Il tiro a volo è considerato uno sport di destrezza a scarso impegno muscolare: è la definizione che gli ha assegnato il prof. Antonio Dal Monte nel libro “Fisiologia e medicina dello sport”. Definizione che andava bene sicuramente negli anni 90, quando il tiro a volo aveva molto poco di scientifico. Non esisteva una programmazione annuale, le capacità motorie non erano prese in considerazione. Il loro sviluppo era pressoché assente. Si svolgevano delle sedute di preparazione fisica solamente durante i raduni che precedevano la partenza per una Coppa del mondo, un Europeo o un Mondiale. Gli atleti erano degli autodidatti. Pochissimi andavano in palestra, la maggior parte lavorava e quindi l’aspetto fisico veniva tralasciato o saltuariamente affrontato. Qual era però il rovescio della medaglia? Gli atleti della squadra italiana vincevano praticamente tutto. In qualsiasi sport, se non hai una buona condizione fisica, difficilmente vai a podio. Il tiro a volo era l’eccezione che confermava la regola. Vincevano dedicando solo il 10% all’aspetto fisico. Posso dire di essere rimasto traumatizzato all’inizio della mia esperienza come preparatore atletico (1987). Non accettavo questa situazione. Provenivo dalla ginnastica artistica, lo sport di eccellenza, dove impegno, perseveranza, costanza e dedizione erano fondamentali per poter raggiungere il nostro obiettivo. Tutto questo nel tiro a volo non esisteva. L’impegno solo durante i raduni organizzati prima delle competizioni. Molta parte tecnica, praticamente tanto “bum bum”, poca preparazione fisica. Ma era anche normale. Perché sottoporre un organismo non in condizione a sedute di allenamento con esercitazioni che non facevano parte del bagaglio motorio di ciascun atleta, portava con sé il rischio di infortuni, cosa da evitare prima di una competizione.
LE TRASFORMAZIONI, A PARTIRE DALLE GARE
Ora possiamo invece dire che il tiro a volo, rispetto a quello degli anni 90, ha subito delle profonde trasformazioni che riguardano sia l’aspetto tecnico, ma soprattutto quello della preparazione fisica. Per quanto concerne l’aspetto tecnico, non mi soffermo più di tanto in quanto non è di mia competenza. Ci sono tecnici e istruttori all’altezza per farlo. Come non ricordare brevemente le modifiche che hanno subito le gare dagli anni 90 fino ai giorni nostri? Prima le competizioni erano a 200 piattelli in 3 giorni. Poi si è passati a 125 piattelli per gli uomini (2 giorni) e a 75 per le donne (1 giorno). A cui è seguito un ulteriore cambiamento, che ha portato la parità dei piattelli sia per le donne che per gli uomini. Per non parlare dello stravolgimento che hanno subito le finali. Questo ci fa capire come la programmazione si sia dovuta adeguare nel tempo a queste profonde trasformazioni. La preparazione fisica invece ha avuto un’evoluzione importante negli anni, diventando da saltuaria ad essere regolarmente inserita nella programmazione annuale. Un passaggio, questo, non certo facile. Ci sono voluti anni perché venisse accettata dagli atleti della squadra nazionale. Non avevo dubbi sulla sua importanza per il miglioramento della prestazione motoria e di conseguenza sulla la sua efficacia per conseguire la massima performance. Non mi dilungo sulle difficoltà che ho incontrato all’inizio della mia esperienza. Ne ho già parlato diverse volte e non voglio diventare noioso. Però fare capire come gli atleti hanno accettato l’attività fisica nella loro routine quotidiana penso sia importante, perché permette di comprendere le strategie adottate su ogni singolo atleta. Com’era la squadra italiana negli anni 90? Era la squadra da battere. Tanti campioni che, a turno, vincevano le più importanti competizioni internazionali. I nomi li conosciamo a memoria: Luciano Giovannetti, Silvano Basagni, Daniele Cioni, Albano Pera, Bruno Rossetti, Luca Scribani Rossi, Celso Giardini, Andrea Benelli, Ennio Falco. Vincevano sempre e, cosa incredibile, facendo un minimo di preparazione. Un po’ di lavoro aerobico, qualche esercizio di tonificazione muscolare e ginnastica isometrica. Non c’era una pianificazione annuale. Ogni atleta della squadra italiana svolgeva in maniera autonoma la preparazione fisica e la cosa assurda era la vittoria costante. I perché nella mia testa si sono sprecati. Trovavo assurdo che un atleta, con una condizione fisica appena sufficiente e in molti casi addirittura sotto la sufficienza, potesse conseguire dei risultati così importanti nelle gare. C’era qualcosa che non mi quadrava. Il tiro a volo, come abbiamo già detto, è uno sport di destrezza a scarso impegno muscolare. La destrezza deve essere allenata con esercizi riguardanti lo sviluppo delle capacità condizionali e coordinative. Nulla di tutto ciò veniva fatto. In una qualsiasi disciplina sportiva, se non ti alleni costantemente con una programmazione curata nei minimi particolari (microcicli, mesocicli), non riesci a conseguire nessun risultato. Come potevo far capire agli atleti che effettuando una attività fisica basata su parametri scientifici, potevano ottenere gli stessi risultati, se non migliori, ma con una sensazione di stanchezza ridotta del 50%?… Facendomi accettare da ognuno di loro…
ALLO STATO ATTUALE
Dovevo diventare indispensabile. Dovevano capire che fare attività fisica li metteva in una condizione ottimale per affrontare la gara. Meno stress, migliore concentrazione in pedana, massima attenzione alla chiamata del piattello, sensazione di fatica ridotta al minimo. Così è stato. Timidamente, ognuno di loro si è avvicinato a me chiedendomi di preparare un programma mirato alle sue caratteristiche fisiche e tenendo conto anche dei propri impegni di lavoro. La maggior parte di loro lavorava e quindi era necessario tenere conto di questa situazione nel pianificare le sedute di allenamento. Questo succedeva negli anni 90. Adesso tutti gli atleti della squadra italiana appartengono ai Corpi militari dello Stato. Professionisti al 100%. Tutte le difficoltà affrontate all’inizio ora sono sparite completamente, o quasi. C’è una pianificazione capillare per ogni singolo atleta che tiene conto delle sue esigenze motorie. Nulla viene lasciato al caso. Ogni singola seduta è creata su misura dell’atleta. Il tutto si basa sui principi della moderna teoria e metodologia dell’allenamento, che non sto qui a descrivere in quanto diverse volte nei miei articoli ne ho parlato, ma soprattutto potete trovarli in un qualsiasi libro riguardante la preparazione fisica. La cosa importante che risalta da quanto sopra esposto, è che tutti gli atleti, professionisti e non, dedicano del tempo all’attività fisica, nel senso che si allenano con una certa costanza per raggiungere un determinato obiettivo. Quindi cosa intendiamo per allenamento e quali sono i suoi effetti a livello organico? Per allenamento sportivo intendiamo l’insieme di tutti gli interventi che garantiscono contemporaneamente e in maniera ottimale la preparazione fisica, tecnica e psichica dell’atleta al fine di migliorare la sua prestazione sportiva. Per conseguire questo obiettivo, l’esercizio fisico assume un ruolo di primaria importanza poiché sia la quantità che l’intensità delle ripetizioni devono essere organizzate in modo tale da innalzare progressivamente il carico di lavoro.
Il processo di allenamento, dunque, ha lo scopo ultimo di mantenere stabile la più elevata capacità di prestazione per un periodo relativamente lungo, considerando che tanto più l’atleta si avvicina al massimo rendimento, tanto meno questo dura nel tempo. La capacità di prestazione dipende da due fattori: la possibilità di prestazione e la disposizione alla prestazione. Il primo fattore viene determinato in misura minore dalle possibilità fisiche e dal bagaglio culturale dell’atleta; in misura maggiore dalle sue capacità tecnico-sportive e dalle sue esperienze motorie. Il secondo fattore deriva dall’atteggiamento dell’atleta verso l’attività sportiva e verso le esigenze che gli vengono poste dall’allenamento e dalla competizione. La capacità di prestazione viene sviluppata soprattutto attraverso gli stimoli di movimento: se vengono dosati in modo da produrre un effetto allenante, contribuiscono cioè allo sviluppo della prestazione, parliamo di carico di allenamento. Le componenti del carico sono determinate dalla durata e dalla frequenza dello stimolo. Queste due componenti sono strettamente correlate alla capacità motoria da sviluppare. Ne consegue che stimoli con durata e frequenza al di sotto di un certo valore non producono un effetto allenante. Da qui si può capire quanto sia importante programmare l’allenamento nel suo ciclo annuale, così che le sedute settimanali e i loro contenuti rispettino i due principi sopra menzionati.
IL CICLO DI ALLENAMENTO E I SUOI PERIODI
Il ciclo di allenamento è l’insieme delle esercitazioni preparatorie ad un gruppo di gare, delle gare stesse e di un breve periodo successivo a queste ultime, dedicato ad esercitazioni complementari rispetto alla disciplina praticata. Pertanto, riassumendo, nel ciclo di allenamento sono distinguibili una successione temporale di 3 periodi: periodo preparatorio (pp), periodo agonistico (pa) e periodo di transizione (pt).
La modulazione con cui questi 3 periodi si alternano nel processo di allenamento, è di fondamentale importanza per l’evoluzione dello stato di forma dell’atleta.
Periodo preparatorio: è quello più importante del ciclo di allenamento. Molti allenatori non gli danno la giusta rilevanza. Lo sottovalutano in quanto pensano che il periodo agonistico sia quello più importante. Nulla di più sbagliato. In questo periodo viene costruita la forma dell’atleta che lo deve supportare nel periodo agonistico. È importante alternare esercitazioni a carattere generale e speciale: preparazione fisica generale (pfg) e preparazione fisica speciale (pfs). La preparazione fisica generale si svolge nei mesi di novembre e dicembre. Vengono inserite esercitazioni per lo sviluppo della resistenza, forza veloce, rapidità, coordinazione oculo-manuale, equilibrio e mobilità articolare/elasticità muscolare. Sono esercitazioni che permettono di creare le fondamenta su cui poter lavorare, in tutta sicurezza, nei mesi successivi. È come costruire una casa: prima le fondamenta, che devono essere profonde e resistenti per accogliere i successivi piani. È un momento fondamentale, dove non è possibile commettere errori per non pregiudicare la nuova stagione agonistica. La preparazione fisica speciale viene inserita nella programmazione nei mesi di gennaio e febbraio. Naturalmente questi periodi non sono rigidi e dipendono dall’evoluzione dello stato di forma dell’atleta. Se il nostro atleta a gennaio è in ritardo sul fronte della preparazione a carattere generale, dovuta a infortunio o malattia, sarebbe un grave errore non completarla perché una carenza di questo tipo si potrà ripercuotere sul suo stato di forma. L’obiettivo principale della pfs nel sistema di allenamento consiste nell’intensificare il regime di lavoro dell’apparato motorio nelle condizioni di gara. Tale intensificazione riguarda le capacità motorie attraverso mezzi speciali di allenamento (esercizi) e, contemporaneamente, l’attivazione delle funzioni dei sistemi fisiologici che assicurano la capacità di prestazione nella disciplina praticata. Passando invece al periodo agonistico: è quello delle gare, tanto atteso dai nostri atleti. Anche in questo periodo è importante una pianificazione capillare delle competizioni a cui l’atleta dovrà partecipare. Porto come esempio il calendario internazionale di questa stagione agonistica 2024: 4 prove di Coppa del mondo, Europeo, Final Olimpic qualification Championship, Olimpiadi e, in ultimo, a novembre la Finale di World Cup. Sono esattamente 8 eventi diluiti in altrettanti mesi. Si intuisce che la gara più importante sono i Giochi di Parigi. I tiratori e le tiratrici che parteciperanno avranno un percorso completamente differente rispetto agli altri componenti della squadra nazionale. Training camp e competizioni saranno pianificati per portare i tiratori al massimo della condizione per le Olimpiadi. In questo periodo non deve essere assolutamente abbandonata la preparazione fisica. Sono fondamentali le esercitazioni di mantenimento. Cioè le capacità motorie sviluppate nel periodo precedente devono essere mantenute con lavori al 60%. Questo fa capire che la preparazione fisica di un atleta viene svolta per 350 giorni l’anno. Infine, c’è il periodo di transizione: l’atleta deve ricaricare il proprio organismo dopo una intensa stagione agonistica. Di solito la sua durata va dalle 2/3 settimane. Deve svolgere attività complementari alla disciplina praticata. Utili e consigliati: tennis, padel, tennis tavolo, pallavolo, pallacanestro, calcetto. Come si può notare, sono esercitazioni in cui il nostro attrezzo sportivo viene messo a riposo. Non dovrebbe essere utilizzato. Ma il nostro è uno sport atipico, dato che la maggior parte dei tiratori sono cacciatori, per cui lo usano spesso.
Tratto da “La preparazione fisica dagli anni 90 ad oggi”, di Fabio Partigiani, Caccia & Tiro 08/2024.
Raduno di Tirrenia: sorridenti, al termine di una seduta di allenamento, Silvana Stanco, Giovanni Pellielo, Daniele Resca, Massimo Fabbrizi e il preparatore atletico Fabio Partigiani.