Ogni anno, a marzo, si celebrano due giornate estremamente importanti per l’ambiente e la biodiversità: la Giornata mondiale della fauna selvatica, il 3 del mese, e la Giornata internazionale delle foreste, il 21. Queste ricorrenze rappresentano l’occasione per ricordare quanto preziose siano fauna e foreste, ma sono anche un’opportunità per riflettere sul rapporto tra il patrimonio naturale e l’uomo, sulla ricerca di un equilibrio tra utilizzo consapevole della risorsa e sua salvaguardia.
Proprio di questo secondo aspetto ha parlato in un comunicato l’Ufficio Studi e Ricerche faunistiche e agro ambientali Federcaccia, ponendo l’accento sul concetto di uso sostenibile: “L’uso sostenibile delle risorse, legato al coinvolgimento delle popolazioni locali, è stato ribadito recentemente dall’Iucn (l’Unione internazionale per la conservazione della natura, organizzazione non governativa internazionale con sede in Svizzera cui è stato riconosciuto lo status di osservatore dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite) come fattore chiave per la conservazione della fauna selvatica”. Nel comunicato si sottolinea come la caccia e la pesca svolte in modo sostenibile siano attività che “assicurano la sopravvivenza a lungo termine delle specie di fauna selvatica, perché l’interesse dell’uomo per l’utilizzo corretto della risorsa fauna permette la conservazione e il ripristino degli habitat naturali, insieme al mantenimento dell’equilibrio fra le diverse specie”. Il mondo venatorio, infatti, è parte attiva e promotrice di centinaia di progetti a favore delle specie selvatiche, a livello nazionale e internazionale. A questo si affianca l’operato dei cacciatori per la conservazione e il ripristino di migliaia di ettari di habitat, l’investimento fatto da Atc, Ca e alcune Aziende faunistico venatorie in colture a perdere, il coinvolgimento attivo nei monitoraggi. Passando al tema della sostenibilità del prelievo venatorio, l’Ufficio cita un recente lavoro che ha presentato al XXI Convegno nazionale di Ornitologia, lavoro che dimostra che “l’incidenza del prelievo venatorio in Italia su 20 uccelli migratori sulle popolazioni è in media dell’1,84%, con una probabile sovrastima per molte specie, poiché si sono considerate le popolazioni europee e non quelle globali. Questo dato, unito alle tendenze favorevoli di molte specie cacciabili, tra cui quelle soggette a maggior prelievo, dimostra che la caccia come svolta oggi in Italia è sostenibile e rappresenta uno strumento di conservazione imprescindibile”.
Uno degli habitat prediletti dalla fauna selvatica è proprio quello delle foreste, ambienti che tra i servizi ecosistemici forniti – controllo dell’erosione, regolazione del clima, sostentamento di milioni di persone – annoverano anche quello relativo alla conservazione della biodiversità. Qual è allora lo stato di salute delle foreste? In un comunicato Ispra fornisce i dati, evidenziando che le foreste occupano il 31% delle terre emerse del pianeta, estendendosi su circa 4,1 miliardi di ettari, e che dal 1990 a oggi la superficie forestale mondiale ha registrato un calo del 4,2%. Tra le cause di questa riduzione si annoverano l’aumentata frequenza e intensità di eventi climatici estremi, gli incendi, gli attacchi da parte di agenti patogeni, parassiti, insetti e ragni (con particolare aggravamento dovuto al diffondersi di specie aliene). In controtendenza, invece, i dati italiani. “Dal secondo dopoguerra a oggi – si legge nel comunicato Ispra – le foreste italiane sono aumentate costantemente, passando da 5,6 a 11,1 milioni di ettari”. La crescita sarebbe avvenuta a spese delle superfici agricole e di terreni naturali e semi-naturali, subendo un’accelerazione (+28%) dal 1985 al 2015. Oggi è del 37% la percentuale di territorio coperta da boschi, con un valore addirittura superiore a quello di Paesi “tradizionalmente” forestali come la Germania e la Svizzera (entrambi al 31%). Un risultato, questo, che va comunque mantenuto: “Sull’integrità di questo patrimonio, di specie e di habitat, – sottolinea l’Istituto – agiscono una serie di fattori di pressione, soprattutto di origine antropica, che minacciano la ricchezza delle risorse forestali italiane”. Che si parli di fauna o di foreste – ma anche di altri habitat come il territorio agricolo e pastorale – l’ideale punto di arrivo è sempre l’equilibrio tra attività antropiche e necessità di salvaguardia, per un utilizzo consapevole delle risorse ed una loro gestione lungimirante. A tal proposito un notevole impulso, a livello europeo, dovrebbe arrivare dalla Nature Restoration Law, la Legge sul ripristino della natura, che è stata approvata dal Parlamento europeo proprio lo scorso 27 febbraio. Essa introduce norme per ripristinare la natura dove è già degradata, stabilendo obiettivi e obblighi specifici e giuridicamente vincolanti per ripristinarla in determinati ecosistemi, dai terreni agricoli e forestali agli ecosistemi marini, d’acqua dolce e urbani. Con la Nature Restoration Law si rende più concreta e vicina la possibilità di operare in favore degli ecosistemi e della fauna selvatica, possibilità che sarà possibile cogliere appieno solo con il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse (come i cacciatori, gli agricoltori, i pescatori…) ed evitando quegli stravolgimenti ideologici che troppo spesso, in passato, abbiamo visto far deragliare la ratio di una legge o direttiva sul pericoloso binario del divieto, a prescindere, delle attività umane.
“Primo piano”, di Valeria Bellagamba, Caccia & Tiro 04/2024.
Con l’avvento della Nature Restoration Law si rende più concreta la possibilità di operare in favore degli ecosistemi e della fauna selvatica – Foto Krzysztof Golik,- CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons