GHOSTNETS È L’OPERAZIONE DI ISPRA PER SALVARE LE ACQUE DELLA SICILIA DALLE RETI DA PESCA INUTILIZZATE

Sono stati 60.000 i metri quadrati di fondale ispezionati e centinaia quelli liberati dalle reti da pesca inutilizzate, lunghe purtroppo fino a 260 metri e recuperate ad una profondità di 40-60 metri. Questi sono solo alcuni dei numeri dell’Operazione GhostNets di Ispra, avvenuta sulle coste della Sicilia fra il comune di Augusta e la città di Siracusa. L’attività, finanziata con fondi del Pnrr, fa parte del Progetto Mer (Marine ecosystem restoration), si è avvalsa della collaborazione della Rtc GhostNets (Castalia, Conisma, Marevivo). Grazie all’intervento di tutti questi soggetti sono state recuperate diverse reti da pesca: da quelle a strascico a quelle da posta; anche lenze, nasse e grovigli di cime sono stati tolti dalle acque per salvare anche le specie di pesci, tante protette, che erano rimaste intrappolate al loro interno. Si tratta di una campagna di recupero che rappresenta un grande passo avanti per i nostri mari, il commento dei ricercatori dell’Ispra, ma adesso è fondamentale promuovere una consapevolezza maggiore fra gli operatori del settore e continuare ad investire in tecnologie e politiche di prevenzione. Per comprendere meglio come sia stato possibile intervenire in questo modo dobbiamo citare la legge 60/2022, in base alla quale adesso le reti da pesca abbandonate sono equiparate ai rifiuti urbani riciclabili e quindi è possibile recuperarle. Il fenomeno purtroppo ha registrato un aumento esponenziale negli anni perché per le reti vengono utilizzati materiali sempre più economici e dannosi per l’ambiente al posto di fibre vegetali, come accadeva in passato.

Il problema grandissimo è che le reti smarrite non smettono di svolgere il proprio lavoro e continuano ad attirare specie di pesci anche se non sono più sotto il controllo degli operatori del settore. A subire le conseguenze maggiori sono soprattutto le praterie di posidonia oceanica che vengono sradicate, distrutte e coperte, quindi sempre al buio; anche il coralligeno, organismi che colonizzano le rocce, viene strappato e rovinato; per non parlare poi della fauna marina che resta intrappolata nelle maglie, magari ferita a morte.

L’operazione è stata attuata in diverse fasi. Dopo la ricognizione per la mappatura delle zone più colpite dal fenomeno, avvenuta grazie all’utilizzo di tecnologia specializzata su un fondale di circa 60 mila metri quadrati, personale composto da operai specializzati nelle immersioni subacquee ha potuto recuperare e stoccare il materiale pericoloso sulle due navi di supporto. I sub si sono immersi usando una gabbia speciale collegata con la superficie, respirando e comunicando con le navi grazie a “cordoni ombelicali multifunzione: dopo aver individuato le reti ed averle eventualmente tagliate per renderle meglio trasportabili, le hanno posizionate all’interno di sagole e riportate in superficie grazie a verricelli. L’Operazione GhostNets si è avvalsa di tecnologie avanzatissime come il Multibeam, strumento per la mappatura dei fondali, o il Side Scan Sonar, che permette di osservare oggetti sommersi in modo molto dettagliato, infine il Rov, veicolo che opera a controllo remoto, per la raccolta dei dati. Tutto si è svolto con l’intento di favorire la massima conservazione degli habitat cercando di rendere minimo l’impatto sulle specie intrappolate nelle maglie delle reti da pesca ormai inutilizzate. Numerose le specie protette liberate. Gli operatori sono intervenuti per salvare organismi come i ceranti (anemoni cilindriche), ricci diadema, magnose, simili ad aragoste e madrepore a grappolo. Arrivate a bordo delle navi di supporto, le reti sono state controllate meticolosamente per poi permettere il salvataggio delle creature incastrate. Riportate a terra, queste insidie ambientali sono state smaltite e, se possibile, avviate verso il riciclo.


Le reti recuperate a bordo di una nave di supporto per un primo controllo. Numerose le specie salvate, rimaste intrappolate in queste vere e proprie insidie sul fondo: ceranti, ricci diadema, magnose, madrepore a grappolo – Foto Ispra


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