A CACCIA IN SELLA ALLA MOTO PARILLA

“Toh, guarda quella figura di un levriero sul serbatoio delle moto, è come quella del Greyhound, il pullman americano dei viaggi coast to coast come dicono là”. “No no, è proprio la sua, quella delle moto Parilla, tutta roba italiana, la vendevano anche in Romagna”. “Mo va’ là pataca, cosa dici? “, “Mo va’ là te, non lo sai che ce n’era anche una fatta per i cacciatori?”. Forse avrebbe potuto andare così la discussione fra due amici che ci siamo inventata, e inventati, davanti alle moto Parilla ospiti dello stand di Varide Cicognani (Asd Accademia italiana del tiro di precisione) all’ultima fiera Caccia&Country di Forlì. Che cosa ci facessero le moto Parilla in quello stand (pezzi da collezione, la produzione cessò nel 1966) è presto detto: Romagna terra di motori e un’amicizia personale. Ma la moto per i cacciatori, anzi “sogno di cacciatore” come riportava la pubblicità al suo tempo? Non c’era in fiera, peccato non poterla vedere perché si tratta di un modello che a suo tempo suscitò sul mercato un certo moto (guarda te le parole!) di curiosità e di interesse.

Sul posto ci siamo accontentati di osservarla su alcune foto (avrebbero per forza fatto così anche i due amici inventati), andando subito però ad approfondirne la conoscenza, dato il modello “sui generis”, insieme a tutta la storia del marchio. Una storia bella, italiana, di un momento felice del Paese. La famiglia Parrilla (con due erre), spagnola (quindi pronuncia parriglia in origine), giunge in Italia nel ‘500 stabilendosi in Calabria. Poi nel tempo approda a Mantova ed è qui che nel primo dopoguerra (1946 circa) inizia l’avventura motociclistica. Una scommessa al bar, come tante altre fra amici. Ma a volte certe scommesse cambiano la vita, come quella di fare una moto. Una moto più bella e più veloce di quelle del momento, generalmente inglesi. Nella sua officina, con l’aiuto di un dipendente (Bianchi), Giovanni Parrilla mette in cantiere il progetto, e nel 1947 la moto è finita. Il modello riscuote grande entusiasmo perché in effetti la moto si presenta più bella di quelle inglesi ed è piuttosto veloce. A quel punto è quasi automatico produrne almeno una piccola serie, cosa che Giovanni Parrilla realizza nella sua officina di 15 dipendenti. Nasce la Parilla monoalbero, 250 cc. di cilindrata, con una erre in meno del nome di famiglia per opportunità fonetiche di mercato. Un mercato ricettivo alle novità, ma la moto, data la lavorazione pressoché artigianale, è un po’ troppo costosa. Quindi è necessario ridurre i costi, portando la produzione ad un livello industriale per potere incontrare le esigenze di un pubblico più vasto.

Determinato e intraprendente, Giovanni Parrilla apre una fabbrica motociclistica, dalla quale esce nel 1949 una moto da 98 cc. che diviene la base della successiva industria motociclistica che già nel 1953, a Milano, nella zona dell’attuale Piazzale Corvetto, conta 800 dipendenti. L’avventura ha vita per una quindicina d’anni. Nel 1966 Giovanni Parrilla, con il mercato dell’auto che spinto dal boom economico prevale su quello della moto (nel 1957 esce la Fiat 500), decide di vendere. Un caso peraltro non isolato, poiché quasi tutti i circa 300 marchi motociclistici che si vendevano in Italia in quegli anni chiusero i battenti per identico motivo. Nei 15 anni effettivi di produzione, Parrilla produsse 130 modelli di moto: dalla 49 cc. a 2 e 4 tempi, fino alla 350 cc. bicilindrica, e perfino un modello motocarro. Bene, ma (i due amici inventati non avrebbero mica mollato!) ‘sta moto del cacciatore? L’abbiamo finalmente potuta vedere dal vivo grazie a Bruno Baccari di Modigliana (Fc), collezionista di moto Parilla per passione e tradizione di famiglia. Il modello nasce nel 1958 con un motore da 99 cc. a 4 tempi, ed è rivoluzionario. Come prima cosa non ha il telaio, si basa su una carrozzeria portante. È più semplice da costruire, costa meno, ha bassissimi consumi di carburante e, non ultimo, un’indovinata attenzione all’estetica. Si chiama Slughi, come il levriero arabo, cane da caccia del deserto.

La Slughi (sloughi il vero nome del levriero, ma al tempo scrittura e pronuncia era opportuno tenerle insieme) vuole controbattere l’incalzante avvento dell’auto, e quindi oltre al lato meccanico ed estetico deve essere competitiva sul mercato. Se sul mercato nel 1959 una buona moto 125 cc. a 4 tempi poteva costare circa 200.000 lire, la Slughi 99 cc. doveva costare al pubblico meno di 150.000 lire. Suoi altri punti di forza, i consumi (almeno 50 km con un litro di benzina) e il motore coperto che quindi non sporcava i pantaloni del motociclista. Ma non solo: con un accorgimento veramente pensato e indovinato, la Slughi presenta anche un lungo vano portaoggetti sotto il sedile ribaltabile. Nel vano trovano comodo spazio una doppietta smontata e la cartucciera. Soluzione dettagliatamente riportata sul numero di gennaio 1959 della rivista Moto Ciclismo: “C’è il problema del trasporto del fucile e relative munizioni; tener l’arma a tracolla è sbrigativo ma scomodo ed anche un po’ pericoloso per il rischio di sbattere con l’estremità dell’arma sporgente oltre la sagoma del centauro contro qualche veicolo, specie le auto che spesso sorpassano ‘a pelo’… Arma e munizioni ben riparate dalle ingiurie dei cosiddetti agenti atmosferici, al sicuro da qualsiasi rischio nelle occasionali soste…”.

C’è, ovviamente, un pensiero anche per il pescatore: nello stesso vano portaoggetti possono in alternativa trovare spazio canna, mulinello, esche e un piccolo guadino. Un anno dopo la Slughi esce anche in cilindrata 115 cc. (ma considerata 125 cc.) a 2 tempi (il motore a 2 tempi ha meno probabilità di avarie). Rivoluzionari i Parrilla anche nel colore: in un mondo di motociclette allora praticamente tutte bicolore rosso-nero (Guzzi, Gilera, altre), le loro moto escono dallo stereotipo cromatico presentandosi con colori arancione, verde, blu e altri ancora. La Slughi 99 cc. è rossa-bianca. La 125 cc. è azzurra-bianca. Una memoria. Memoria di anni passati durante i quali i cacciatori andavano in bicicletta con il cane al guinzaglio a fianco, e in motoretta, con il cane nella cassetta del portapacchi, prima di poter avere l’automobile. Anni di un mercato vivace, nel quale, per la cronaca, la pubblicità della Vespa esibiva per i cacciatori anche la firma del grande pittore animalier Roberto Lemmi. In quell’esplosione di progetti, di marchi e di rincorsa generale al benessere, la Parilla si guadagnò un posto di riguardo. Qualcuno in Romagna, terra di motori, ricordandola oggi, dice che “la volevano tutti”. Una memoria bella da conservare e tramandare, perché memoria di un’Italia che, nella rinascita del dopoguerra, faceva le gite in moto, la domenica, dopo la settimana di lavoro. I “centauri” con il vestito buono e la cravatta, e le ragazze dietro sul sellino, con il foulard annodato sotto il mento a proteggere i capelli dal vento. Una memoria anche per la caccia, quando anch’essa viveva un momento molto più felice di oggi.


Tratto da “A caccia con la moto Parilla”, di Roberto Aguzzoni, Caccia & Tiro 3/2020.


Il modello Parilla Slughi 125 cc., azzurro-bianca, caratterizzata da un lungo vano portaoggetti sotto il sedile ribaltabile, dove trovavano comodo spazio una doppietta smontata e la cartucciera.

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