Nel momento in cui mi accingo a scrivere questo mio intervento, frattanto sono trascorse alcune settimane dal Campionato invernale di fossa olimpica delle Società. Eppure posso ancora percepire distintamente tutte le straordinarie emozioni che quell’evento ha saputo ancora una volta innescare e trasmettere e che ho avuto l’opportunità di sperimentare direttamente in due delle quattro sedi di quell’evento. Non è la prima volta che dedico il mio intervento ad un episodio agonistico del genere, ma sono altrettanto convinto che non sarà di nuovo neppure l’ultima, perché il connotato di quella competizione, insieme ad altre prerogative del nostro sport su cui mi sono soffermato in precedenti interventi, costituisce uno dei patrimoni più specifici del tiro a volo. Ritagliandomi uno spazio tra tanti impegni in Italia e all’estero, ho voluto piacevolmente immergermi ancora una volta nell’atmosfera accogliente e schietta dei confronti intersocietari e il recente episodio mi ha confermato che quella che si percepisce in quei confronti è appunto la nostra anima più sincera e preziosa. I nostri confronti intersocietari sono un meraviglioso caleidoscopio di umanità: in ogni squadra accade che atleti con un invidiabile patrimonio di esperienza, che sanno ben padroneggiare l’evento-gara, si mettano in gioco gomito a gomito con praticanti meno navigati che invece in quel momento stanno sfidando un panorama incontrollato di emozioni; accade che veterani di mille battaglie e davvero di decenni di pedana siano impegnati con giovani atleti al loro debutto. Se qualche volta avete ascoltato le tante voci che si susseguono in un campo di tiro in occasione di una gara come quella e se avete letto le dichiarazioni che alcuni dei dirigenti o alcuni degli atleti rilasciano dopo ogni gara, avrete percepito che il denominatore comune è la volontà di far vincere, o comunque di far ben figurare, i propri colori di appartenenza. È il vero: tutti per uno, uno per tutti. Quello autentico. Non quello magari un po’ di maniera che, specialmente fuori dal mondo sportivo, alle volte qualcuno sbandiera con tanta facilità per simulare una collegialità sincera che invece non c’è. Sarà che noi del tiro a volo siamo, tanto idealmente quanto fieramente, figli, nipoti e pronipoti di quell’Ettore Stacchini che 98 anni fa ebbe la grande intuizione di riunire sotto la sigla di un’istituzione nazionale, che poi in seguito avrebbe assunto la denominazione di Federazione italiana tiro a volo, un manipolo di Associazioni di appassionati di tiro a volo che operavano in ogni parte dell’Italia. Ma quelle Associazioni, che aderirono favorevolmente all’idea di comporre un organismo che coordinasse l’attività a livello nazionale, hanno altrettanto orgogliosamente conservato quelle prerogative singolari e quelle specificità che sono il perno di ogni sano – e ribadisco: sano – campanilismo sportivo. Ecco, sì: sarà proprio per effetto di quell’autonomia che ogni Associazione seppe sempre conservare e gelosamente tutelare, pur nel momento in cui aderiva con piena consapevolezza alla neonata istituzione nazionale, che ancora oggi il tiro a volo può esibire con grande orgoglio un panorama agonistico intersocietario in cui il confronto sportivo fa rima, oltre che indiscutibilmente con fair-play, con un ventaglio di tante meravigliose emozioni che è sempre bellissimo tornare a sperimentare. Ho fatto un accenno, quasi di sfuggita, ai 98 anni della nostra storia di Federazione: questo significa che siamo a un passo dal compiere il nostro primo secolo di navigazione. Ma questa è davvero un’altra storia e ci sarà l’occasione di tornare a parlarne…
“Linea di tiro”, di Luciano Rossi, Caccia & Tiro 05/2024.
Il presidente Luciano Rossi in visita a una delle quattro sedi in cui si è articolato il Campionato invernale delle Società di fossa olimpica.