In questo intervento, che si colloca a suggello di uno degli anni in assoluto più difficili tra quelli che abbiamo vissuto, non posso e non voglio astenermi prima di tutto dal tributare un moto di sincera gratitudine a tutti quei dirigenti e a quei delegati che hanno partecipato all’Assemblea federale dello scorso 7 novembre e che in quella sede hanno riconfermato chi vi scrive alla presidenza della Fitav con un larghissimo consenso. Non andrò oltre perché i toni trionfalistici, come sa bene chi segue questi miei interventi e mi conosce personalmente, non sono nelle mie corde. Ai proclami preferisco i dati di fatto e le cifre. E le cifre confermano che la mia persona e i miei colleghi del Consiglio federale sono stati i destinatari di un gradimento che, senza timore di essere iperbolico, posso definire plebiscitario. Nutro da sempre anche un’altra convinzione: una riconferma elettorale, perfino quelle che suonano quasi come un’acclamazione, non sono mai un punto di arrivo. Sono, semmai, proprio un nuovo punto di partenza.
Si viene eletti e rieletti certamente per il consenso, la considerazione, l’affetto, la stima che si è riusciti a convogliare nella propria persona, ma soprattutto perché si è giudicati in grado di traghettare una struttura verso il futuro. Ecco, dunque, il compito mio e dei colleghi del Consiglio federale: guadare o superare navigando (dipenderà, volta per volta, dalla profondità delle acque di questo fiume, tanto per rimanere nella metafora) il corso dei prossimi quattro anni. Quattro anni che per la storia della nostra Federazione si preannunciano importantissimi. Non solo perché ci condurranno alle soglie del secolo di vita di questo organismo che mi onoro di presiedere e che nacque dall’intuizione meravigliosa di Ettore Stacchini, ma innanzitutto perché ci permetteranno di raggiungere alcuni obbiettivi prioritari. All’epoca della mia prima candidatura alla presidenza ho insistito perché al primo punto del programma fosse inserito in bella evidenza la volontà di difendere strenuamente tutte le nostre Associazioni. Quel concetto è ancora oggi un punto fermo, anzi: saldissimo. Perché non c’è futuro per la nostra Federazione e per il nostro sport senza assicurare il diritto di esistere a tutte le componenti di quella Federazione.
Chi ha seguito il mio intervento all’Assemblea del 7 novembre, dal vivo o in streaming, sa bene che su questo punto ho insistito con ferrea fermezza. Ho anche detto, però, che quel diritto, laddove non sia ancora conseguito con certezza, va conquistato e difeso e questa rivendicazione legittima del nostro diritto a esistere e a operare deve essere manifestata in tutte le sedi istituzionali. È certo che ci sono così tante iniziative che dovremo intraprendere nei prossimi anni che è davvero difficile sintetizzarle tutte in poche righe. Un altro aspetto, però mi preme di evidenziare subito. Ed è il fatto che dovremo aprire una fase costituente: una stagione di inclusione che sarà caratterizzata da scelte coraggiose, sì, ma che ci permetteranno di far crescere il movimento del tiro, di evitarne quella marginalizzazione che invece da più parti si vuole esercitare, di sventare la criminalizzazione delle attività sportive con le armi che da taluni è promossa, e ci permetteranno invece di estendere l’attività e riunire intorno a un tavolo comune tante forze che adesso invece si muovono in ordine sparso. Insomma, chiamatelo fiume da guadare o da navigare! O chiamatelo invece libro da scrivere. È comunque il futuro della nostra Federazione e del nostro sport. Se è un libro, quello dei prossimi quattro anni si presenta con tantissime pagine da riempire. Ci sarà spazio per i nostri sogni, ci sarà spazio per le legittime rivendicazioni di cui dicevo, ci sarà spazio per tante iniziative che potremo costruire insieme. Al lavoro, dunque!
“Quelle nostre pagine da scrivere” di Luciano Rossi, Caccia & Tiro 12/2020-01/2021 – Foto Ferdinando Mezzelani