Ai lettori dei miei interventi non sarà sfuggito che, fino dalla mia elezione alla presidenza dell’Issf nel novembre dello scorso anno, ho insistito sul dovere delle autorità sportive di esercitare la valorizzazione del talento delle atlete e degli atleti e soprattutto sul dovere di manifestare e promuovere il rispetto delle stesse e degli stessi. Sono profondamente convinto che il provvedimento che l’Issf, di concerto con il Cio, ha assunto nelle scorse settimane a proposito della tipologia delle finali delle gare di fossa olimpica e skeet (e naturalmente anche per tutte le specialità del tiro a segno) vada esattamente in quella direzione. Da questo mese di maggio infatti viene ripristinata la tipologia di finale adottata nel quadriennio di Tokyo e con quella affronteremo le Olimpiadi di Parigi. Atlete e atleti di molte nazioni del mondo avevano da tempo manifestato il loro disappunto per un meccanismo (quello dei ranking match e del successivo medal match) che, oggettivamente, creava una disparità di gestione degli intervalli di tempo tra le diverse fasi dell’evento agonistico. Valorizzazione e rispetto del talento delle atlete e degli atleti marciano di pari passo ed è in quell’ottica che, come Federazione internazionale, abbiamo voluto ascoltare e accogliere i tanti pareri che premevano per una soluzione che restituisse piena equità alla prova agonistica. Di nuovo, chi ha seguito con accuratezza i passi che la nuova Issf ha mosso in questi mesi, ha compreso che quella che abbiamo proposto è una gestione plurale dell’attività: nel senso che la dirigenza ascolta davvero con grande attenzione la voce delle atlete e degli atleti e traduce altrettanto con favore quella voce in provvedimenti.
Non è un caso d’altronde che, tra le componenti e i componenti degli organismi dell’Issf, ci siano atlete e atleti ancora in pienissima attività. E credo che i miei lettori condivideranno l’idea che questo sia davvero il modo migliore per saldare le esigenze di gestione che una dirigenza deve esprimere con la volontà della platea delle sportive e degli sportivi. In questo senso ho anche un’altra ferrea convinzione: che manifestando in ogni provvedimento la volontà di perseguire il rispetto delle atlete e degli atleti e di valorizzare le loro doti si eserciti il modo migliore per promuovere gli sport del tiro presso le giovani generazioni. Nella storia recente del mondo forse raramente come adesso lo sport si è fatto linguaggio universale proprio tra le diverse generazioni, ma nello stesso tempo quell’attività sportiva si è trasformata in un catalizzatore di tensioni inespresse. Lo abbiamo percepito, spesso anche drammaticamente, in alcuni episodi che hanno coinvolto appunto in tempi recenti giovani atleti e giovani atlete. Io so per certo che lo sport può continuare a rappresentare quel linguaggio universale che unisce le generazioni e le fa dialogare, ma a condizione che, ad esempio, come ho sottolineato prima, ogni dirigenza sappia interpretare e leggere i desideri e le speranze del proprio “popolo” di sportive e sportivi. Ecco che quel “noi” che ho sempre indicato come simbolo della gestione plurale del nostro movimento del tiro acquista un’importanza fondamentale e diviene simbolo tangibile del rispetto e della valorizzazione del talento di tutte e di tutti.
“Linea di tiro”, di Luciano Rossi, Caccia & Tiro 05/2023.
Luciano Rossi: “Da questo mese di maggio viene ripristinata la tipologia di finale adottata nel quadriennio di Tokyo e con quella affronteremo le Olimpiadi di Parigi. Atlete e atleti di molte nazioni del mondo avevano da tempo manifestato il loro disappunto per un meccanismo (quello dei ranking match e del successivo medal match) che, oggettivamente, creava una disparità di gestione degli intervalli di tempo tra le diverse fasi dell’evento agonistico”.