LE LEZIONI DI TOKYO

10, 10, 20: “Siete stati bravissimi, sono orgoglioso di voi. Vi aspetto al Quirinale!”.

Ecco, in soli 3 numeri, quelli delle medaglie azzurre, e nelle 11 parole del presidente Mattarella al presidente Malagò è racchiusa la sintesi di una Olimpiade che passerà alla storia. E non solo per il Covid che prima l’ha fatta slittare di un anno e poi l’ha pesantemente condizionata. Ora che le bocce sono ferme e le somme tirate, le parole del presidente della Repubblica suonano come un certificato notarile che mette il sigillo su un periodo complesso e travagliato dello sport italiano. La spedizione giapponese, al netto di tante impensabili e dolorose delusioni, da parte di alcune discipline storicamente alla nostra portata, ma con un bottino tondo e da primato di 40 medaglie, è riuscita a scrivere una pagina di storia sportiva di cui tutti avevamo e abbiamo bisogno. Una pagina che, aggiunta a quella del Campionato europeo di calcio, ha alleggerito i cuori di tutti noi: degli addetti ai lavori (anche se non ancora olimpici come la nostra Federazione) e dei comuni cittadini di questo Paese così meraviglioso eppure così bistrattato. Ma da Tokyo, oltre le medaglie, le gioie incontenibili e le emozioni, arrivano due preziose lezioni – ammesso che si vogliano e si sappiano leggere – che nessuno, e sottolineo nessuno, può permettersi di sottovalutare o addirittura di ignorare. La prima di queste lezioni riguarda il significato più vero e profondo della parola sport che non significa solo soddisfazioni e gloria, ma che è soprattutto sinonimo di passione, tecnica, fatica, talento e sacrifici quotidiani. Un mix portentoso che stavolta, come non mai, siamo riusciti ad assemblare alla perfezione, suscitando uno stupore così grande che è perfino sfociato in qualche commento tanto astioso quanto ridicolo e immotivato. La seconda lezione è sicuramente meno sportiva e più sociale e “politica”, ma non per questo è meno importante. Anzi.

Al di là di ogni ragionevole dubbio, questa fantasmagorica affermazione olimpica dimostra la validità – anche se non certo la perfezione – di un sistema-sport che, nonostante la crisi sanitaria ed economica, ha saputo piazzarsi con estrema autorevolezza all’interno della “top ten” mondiale. Lo sport italiano è stato più forte del Covid, più forte della cronica carenza di infrastrutture e della continua riduzione dei contributi pubblici e questa forza, bisogna ribadirlo con vigore ed orgoglio, non è solo di natura puramente atletica ma anche, e soprattutto, organizzativa, tecnica e dirigenziale. Piaccia o non piaccia, questa lezione suona tanto più magistrale in quanto riesce a fare chiarezza sui diversi tentativi messi in atto da una certa politica che, nel nome di un rinnovamento a tutti i costi, negli ultimi anni ha cercato ripetutamente di cambiare la formazione vincente (tanto per usare una terminologia sportiva) anche a prezzo di far inceppare un meccanismo che ha dimostrato di girare in maniera davvero efficace e soddisfacente. Che sia una forma di “tafazzismo”? Questa mia periodica riflessione sullo sport è quindi dedicata proprio al nostro mondo e, in primis, al presidente Malagò e a tutti i colleghi presidenti delle Federazioni olimpiche oltre che, ovviamente, alle nostre fortissime atlete e atleti che hanno saputo sconfiggere non gli avversari ma le avverse condizioni politiche, organizzative e burocratiche che ogni giorno rendono più difficile e faticoso il cammino verso la vittoria. Grazie a voi tutti, e speriamo che la lezione serva.


“A caccia di sport”, di Felice Buglione, Caccia & Tiro 9/2021.


Al di là di ogni ragionevole dubbio, questa fantasmagorica affermazione olimpica dimostra la validità – anche se non certo la perfezione – di un sistema-sport che, nonostante la crisi sanitaria ed economica, ha saputo piazzarsi con estrema autorevolezza all’interno della “top ten” mondiale – Foto Italia Team

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