CINOSPORT E CINOTURISMO NELLE AREE PROTETTE – EDITORIALE FIDASC

Sempre più spesso la vita moderna si dipana su un telaio fatto di neologismi o di termini compositi che hanno indubbiamente il fascino di essere concisi e anche semplici da pronunciare e da ascoltare. È sicuramente il caso dei due termini usati nel titolo di questo editoriale che sono parole composite nate dalla fusione, gradevolmente eufonica, di due termini che di per sé stessi sono già molto piacevoli. “Cino”, che è il primo elemento di questo composto, deriva dal greco κυνός e dal latino scientifico cyno che significa cane, mentre gli altri due elementi, sport e turismo, non hanno certo bisogno di essere ulteriormente chiariti. Ma mentre il secondo, pur essendo relativamente nuovo, è già abbastanza usato, il primo si può benissimo considerare un neologismo esclusivo “targato” Fidasc che, ormai da moltissimi anni, rappresenta, all’interno dello sport ufficiale Coni, l’unica sede istituzionale di una serie pressoché illimitata di attività agonistiche praticate – un po’ come avviene per gli sport equestri – con l’ausilio di un animale che diventa esso stesso atleta.

Un neologismo che, tra l’altro, è stato ampiamente e ripetutamente utilizzato nei lavori dell’Accademia cinotecnica federale. La specificità di queste pratiche sportive, cioè quelle con il cavallo e quelle con il cane, è così straordinaria che deve per forza prevedere regolamentazioni del tutto speciali. Mi riferisco, ovviamente (e lo faccio ormai da quasi 20 anni) alla peculiarità tutta “ambientale” delle attività sportive cinofile federali: specialità che non solo sono praticabili esclusivamente all’interno dell’ambiente naturale, ma hanno la caratteristica di essere perfettamente “ecosostenibili” (altro neologismo molto di moda e spesso anche abusato). Nessuna di esse, infatti, arreca danni o disturbi né alla flora né al patrimonio faunistico, nemmeno le specialità cosiddette venatorie che sono tutte senza sparo e che, anzi, hanno il merito di mantenere negli animali un prezioso stato di selvaticità. Una volta compreso tutto questo, risulterà sicuramente agevole avere un approccio diverso alla presenza di uomini e cani all’interno di parchi e aree protette. Zone che un malinteso protezionismo esasperato ha trasformato in tante inutili cattedrali nel deserto, senza alcuna ricaduta positiva per l’occupazione e senza produrre alcun indotto nel territorio circostante, nemmeno in termini di sana e sostenibile vivibilità per tanti sportivi, soprattutto ragazzi.

Per ottenere tutta questa serie di benefici ambientali e socioeconomici non è però ipotizzabile un uso sporadico del territorio del tipo “mordi e fuggi” che finirebbe proprio per destabilizzare gli equilibri, soprattutto quelli faunistici. Quindi nessuna iniziativa di un giorno o raduni estemporanei, ma una serie programmata e organica di eventi che diventino quasi parte integrante del territorio. L’ambiente naturale, quindi, dovrebbe diventare una vera e propria “palestra” o, se si preferisce, un “impianto sportivo” all’aria aperta; una caratteristica, questa, che si rivelerà particolarmente preziosa proprio in caso di restrizioni dovute alla pandemia da Coronavirus. In questi impianti così speciali, come dimostrano i felici precedenti di Cortina d’Ampezzo con lo sleddog o di Cattolica con l’agility, si potrà realizzare una convivenza felice e produttiva fra sport, turismo, fauna selvatica, aree protette e popolazioni residenti. I cani – ma anche il cavallo – lasceranno sempre più spesso ring e ippodromi per tornare finalmente in mezzo alla natura, anche in quelle aree che smetteranno di essere invise e mal tollerate dai residenti. E il beneficio sarà innegabile e per tutti.


“A caccia di sport”, di Felice Buglione, Caccia & Tiro 8/2021.


La peculiarità delle attività sportive cinofile federali – come ad esempio lo sleddog – è tutta “ambientale”: non solo sono praticabili esclusivamente all’interno dell’ambiente naturale, ma hanno la caratteristica di essere perfettamente “ecosostenibili”.


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