Il nudo risultato racconta soltanto un frammento di un’impresa sportiva. E non necessariamente il frammento più significativo. Ripercorrendo la storia olimpica abbiamo visto come talvolta il valore delle medaglie conquistate non abbia corrisposto oggettivamente alle peculiarità e al ruolo tecnico-agonistico svolto dai singoli attori o dalle singole attrici. Di seguito, un estratto delle interviste ad alcune grandi stelle del tiravolismo azzurro, pubblicate sul numero 06-07/2024 di Caccia & Tiro.
MARCO VENTURINI, BRONZO A BARCELLONA 92
Marco Venturini, che ai Giochi di Barcellona rischia perfino di restare rocambolescamente fuori dal podio del trap, si presenta in realtà a quell’appuntamento del 1992 forte di ben due titoli iridati e di un bronzo mondiale conquistati nelle tre stagioni precedenti e quindi rappresenta in assoluto l’interprete ideale di quella situazione della medaglia d’oro che, seppur meritatissima, nei fatti non arriva. “All’Olimpiade i pronostici vengono stravolti – spiega lo stesso Venturini – perché quella è una gara assolutamente particolare in cui entrano in gioco fenomeni completamente nuovi per un tiratore, quindi suggerisco sempre di non essere così severi nel giudicare sia qualche flop di atleti esperti che, nello stesso modo, l’exploit inaspettato di atleti quasi sconosciuti. D’altronde hanno molto peso anche i regolamenti: nel mio caso fu decretato zero il mio ultimo piattello di quella serie finale perché allora il regolamento non considerava colpito il piattello soltanto fumato. Successivamente si capì che quella era una norma da correggere e infatti nei regolamenti successivi il piattello fumato è sempre stato considerato buono”.
Si può interpretare la storia olimpica con le ipotesi? È legittimo provarci, quantomeno per andare a leggere tutte le caratteristiche di una gara: anche quelle che non sono visibili dall’esterno attraverso la visione diretta di chi era presente all’evento o attraverso il racconto dei cronisti. “Se quell’ultimo piattello della finale mi fosse stato attribuito – argomenta ancora Marco Venturini – avrei potuto partecipare allo spareggio per la medaglia d’oro e non escludo che a quel punto avrei potuto vincere, se si considera che conquistai il bronzo dopo 10 difficilissimi piattelli di spareggio con Jörg Damme, quando invece lo spareggio per l’oro tra Hrdlicka e Watanabe si concluse al primo piattello. Non posso negare che essere escluso dallo spareggio per l’oro in quel modo, con uno zero su di un piattello fumato al venticinquesimo turno e con il risultato frattanto acquisito da tutti gli altri, in quel momento mi lasciò prostrato: sembrava tutto un evento guidato dalla sorte, da una forza superiore. Vidi frantumarsi tutto il lavoro che avevo fatto in quei 4 anni. Nello stesso modo, però, posso dire che quei 10 piattelli di spareggio per mezzo dei quali ho vinto la medaglia di bronzo sono stati agonisticamente una delle cose più belle che ho saputo fare nella mia carriera. Ho spareggiato con Damme che era un atleta che aveva vinto un Mondiale con un 200/200 e che rappresentava uno degli atleti più forti del momento e in assoluto della storia della fossa olimpica”.
TOKYO 64: ENNIO MATTARELLI
Esserci o non esserci? Con un prestito da un’espressione il cui copyright è di Hamlet, shakespeariano principe di Danimarca, potremmo anche dire che nella conquista di una medaglia olimpica ha un ruolo non indifferente la possibilità che viene offerta ad un atleta o ad un’atleta di essere presente al posto giusto nel momento giusto. È accaduto ad esempio ad Ennio Mattarelli, olimpionico di Tokyo 64 che, per quella che in gergo contemporaneo si definirebbe posizione nel ranking, avrebbe dovuto essere già in squadra ai Giochi di Roma. “Sì, in realtà – sentenzia il campione bolognese – dovevo essere già in squadra alle Olimpiadi del 1960. Liano Rossini, che era campione olimpico in carica dopo la vittoria a Melbourne nel 1956, rappresentava indiscutibilmente il capofila del tiro a volo italiano e meritava la convocazione. Ma il secondo dopo Liano ero certamente io. Non ero stato convocato neppure per il Campionato mondiale de Il Cairo del ’59. Semplicemente non mi si volle in squadra. Erano anni in cui le posizioni politiche determinavano anche questo e io d’altronde non ho mai nascosto il mio pensiero. Basti considerare che molti storcevano il naso perfino per il fatto che io spesso andavo ad allenarmi con la divisa della Società elettrica per la quale allora lavoravo. Curioso, poi, che invece alle Olimpiadi di Tokyo io sia stato l’unico a sparare con la cravatta”.
FRANCESCO D’ANIELLO, ARGENTO A PECHINO 2008
Che l’Olimpiade sia un meraviglioso gioco di emozioni lo ha compreso perfettamente anche Francesco D’Aniello – medaglia d’argento nel double trap a Pechino 2008 – che ha riflettuto a lungo proprio sugli aspetti emotivi di quell’evento. “Non lasciarsi trasportare dall’evento olimpico ma concentrarsi sul gesto tecnico che serve per rompere i piattelli è ciò che fa la differenza. Ogni piattello alle Olimpiadi è un vero e proprio macigno sulle spalle. Ma in realtà le tue paure, le tue ansie e le tue incertezze le hanno anche tutti gli altri che sono in gara con te. Devi allora giocare sul fatto di affrontare al meglio quell’aspetto psicologico che si chiama appunto Olimpiade. Questa è la grande lezione che ho ricevuto a suo tempo da Alberto Cei, grazie al quale ho superato davvero tanti aspetti critici”. Ma certamente ogni Olimpiade si identifica anche e soprattutto con quell’evento tecnico-agonistico in cui si gioca tutto il lavoro di un quadriennio – come ha sottolineato bene Marco Venturini – nello stretto giro di un piattello. E lo sa altrettanto bene Francesco D’Aniello che approdava a Pechino con il titolo mondiale conquistato nel 2007 e con la carta olimpica incamerata di nuovo proprio nell’anno che aveva preceduto i Giochi cinesi. “Io dico sempre che a Pechino c’è stata una finale nella finale, perché Walton Eller, che poi ha conquistato l’oro, ha conservato la prima posizione dall’inizio alla fine e anche io ho cercato di conservare per tutta la finale il vantaggio sugli inseguitori. Però i margini per tutti erano veramente molto ristretti e tutto poteva accadere. Nel double trap con 4 piattelli di vantaggio avevi tutto da perdere. Era il fascino di quella disciplina: la possibilità di capovolgere le sorti della gara in qualunque momento perché abbiamo visto atleti capaci di arrivare alle 20 coppiole senza un errore e poi nelle ultime 5, cioè negli ultimi 10 piattelli, piazzare 4 o 5 errori che hanno stravolto la gara”. “L’episodio che poteva cambiare le carte in tavola – racconta Francesco D’Aniello – è avvenuto ad esempio subito all’inizio della finale. Walton Eller infatti è andato a sbagliare i 2 piattelli della prima coppiola. Non nascondo che in quel momento fra me e me ho detto che, oltre a pensare a difendere il secondo posto, se Eller avesse incespicato più di una volta, c’era anche la possibilità di portare a casa l’oro. Ma proprio quel pensiero in realtà ha fatto fare uno zero anche a me. A quel punto ho cancellato tutte le strategie: mi sono dato come unico programma quello di rompere tutti i miei piattelli per andare a fare i conti alla fine. Eller era un tiratore esperto e titolato perché aveva vinto già un Mondiale e una finale di Coppa del mondo. Credo che in quel doppio errore ci sia stato un misto di nervosismo, perché si trattava comunque di una finale olimpica con tutto il portato emotivo dell’evento e di tranquillità interiore perché evidentemente riteneva che i 4 piattelli di vantaggio con cui ha affrontato la finale gli attribuissero una relativa sicurezza. Oggi sono convinto che, a fronte di quel suo doppio errore alla prima, se io non avessi sbagliato uno dei 2 piattelli alla coppiola successiva lo avrei messo ancora di più sotto pressione con conseguenze che avrebbero potuto imprimere una svolta completamente diversa alla gara. Il mio zero gli ha invece permesso di recuperare e di rimettersi in pista”. “All’epoca avevo elaborato una precisa strategia di gara – spiega D’Aniello – consisteva in questo pensiero: devi partire sempre con 3 zeri in tasca. Ovvero puoi permetterti sempre 3 zeri per ogni serie della qualificazione. Alla prima serie feci 48/50 e quindi consideravo di avere uno zero di vantaggio rispetto alla scaletta. Alla seconda feci 46 andando a sbagliare un piattello dell’ultima coppiola proprio perché, convinto di poter chiudere a 47, consideravo di avere ancora uno zero di vantaggio sui 3 di programma per affrontare l’ultima serie di qualificazione con ancor più tranquillità. Il problema emerse alla terza serie, perché alle prime 10 coppiole avevo già fatto 3 zeri. Dissi: da questo momento non puoi far più zero. E sono comunque riuscito a chiudere senza altri zeri, con la convinzione di riuscire ad entrare in finale. Poi in realtà mi rivelarono che ero addirittura secondo. Va detto che io in realtà nella finale di Pechino non ho fatto la gara soltanto su Walton Eller per tentare di accedere al primo posto, ma anche su Binyuan Hu per difendere il mio secondo posto. A 9 coppiole dalla fine Hu dà il pull e di quella coppiola colpisce solo il primo piattello, ma i giudici gli attribuiscono 2 piattelli buoni. Alla coppiola successiva accade la stessa cosa: colpisce solo il primo, manca il secondo ma i giudici decretano 2 buoni. A quel punto mi sono detto: France’, se a lui tolgono gli zeri, a te senz’altro non accade, quindi occorre prenderli tutti senza pensarci troppo. Infatti ho chiuso con quei 9 doppi lanci che mancavano senza neppure un errore, mentre Hu alla fine della serie ha fatto anche qualche zero che, di fatto, ha ristabilito gli equilibri”.
Tratto da “Parlano le stelle”, di Massimiliano Naldoni, Caccia &Tiro 06-07/2024.
Marco Venturini ha conquistato un bronzo nel trap ai Giochi di Barcellona 1992.