UNA STRADA AZZURRA A CINQUE CERCHI

La leggenda della grande tradizione tiravolistica italiana alle Olimpiadi nasce nel 1956 quando Galliano “Liano” Rossini conquista la prima medaglia d’oro a cinque cerchi della storia della Federazione italiana tiro a volo che quell’anno festeggia il suo 30° anniversario. Anche Liano è anagraficamente intorno a quell’età: l’atleta di Torrette di Ancona ne ha 29 ed è alla sua seconda esperienza olimpica perché ha già partecipato ai Giochi di Helsinki del 1952 in cui si è collocato al settimo posto a quota 187/200: a 5 piattelli dal canadese George Genereux che ha conquistato la medaglia d’oro.

LIANO ROSSINI
A Melbourne, frattanto, il protagonista assoluto diverrà proprio latleta marchigiano: con 195/200 Liano Rossini conquista infatti la medaglia doro. La prima Olimpiade agli antipodi (in cui il trap è lunica disciplina del tiro a volo) è un trionfo per la Fitav del presidente Antonio Le Pera: in quel 1° dicembre australiano matura infatti anche la medaglia di bronzo grazie allimpresa di un giovane tiravolista lombardo che risponde al nome di Alessandro Ciceri, che totalizza 188 centri e vince un difficile spareggio con altri avversari di rango. In quellanno lItalia del miracolo economico elegge Liano Rossini tra i suoi nuovi eroi sportivi: lolimpionico di Ancona sarà accolto da un autentico bagno di folla al suo ritorno nel capoluogo marchigiano, sarà protagonista di unospitata al programma Telematch di Mario Riva e con la sua immagine verrà coniata anche una figurina della collezione Panini. Nella storia del tiro a volo Rossini ha un suo posto di rilievo per essere stato lautore dellimpresa di Melbourne, ma latleta di Ancona ha realmente rappresentato in assoluto uno dei più forti specialisti della fossa olimpica per più di un decennio. Tra Melbourne 1956 e Roma 1960 Liano conquista infatti un argento e un bronzo ai Campionati del mondo e un argento agli Europei di Torino del 1959 e approda appunto allOlimpiade italiana da detentore del titolo e da favorito. Con il punteggio di 191/200 potrebbe essere di nuovo campione olimpico se non incrociasse sulla sua strada un atleta romeno di nome Ion Dumitrescu che sfodera un solido 192 e costringe il campionissimo azzurro ad un prestigioso argento. Se ai Giochi di Roma Liano Rossini è indiscutibilmente il capitano e da un quadriennio il numero uno del mondo nella fossa olimpica, allorizzonte frattanto si è già stagliato un altro astro brillantissimo. Si chiama Ennio Mattarelli e avrebbe dovuto già vestire la maglia azzurra al Mondiale de Il Cairo del 59 in cui Rossini aveva conquistato il secondo posto. E a maggior ragione avrebbe dovuto essere il secondo italiano in gara ai Giochi capitolini. Ma nellItalia di quegli anni qualcuno storce il naso quando Mattarelli gareggia con la tuta della Società elettrica di cui il bolognese è dipendente ed è soltanto nel 1961 che finalmente il futuro campione viene sdoganato”.

ENNIO MATTARELLI
Al Mondiale di Oslo, in una gara in cui si combatte con le insidie dei 300 piattelli di programma ma anche contro il freddo e la pioggia, Mattarelli totalizza 296 centri: è trionfalmente campione del mondo e pone le basi per rappresentare lItalia, al fianco di Rossini, ai Giochi di Tokyo del 1964. Alle prime Olimpiadi giapponesi Rossini e Mattarelli risultano una perfetta e collaudata macchina da piattelli. La gara frattanto si svolge sulla distanza di 200 piattelli che sono distribuiti in tre giornate: 75, 75 e 50. Nella prima giornata Rossini è quasi impeccabile: due 25 e un 24. Mattarelli lo tallona con due 24 e un 25. Ma Tokyo è lOlimpiade di Ennio: nelle due giornate successive latleta bolognese non sbaglia più e con 198/200 conquista la medaglia doro. Potrebbe esserci di nuovo anche Rossini sul podio ma dopo il 194 delle 8 serie di programma il campione di Ancona non supera lo spareggio con il sovietico Pavel Senichev e con lo statunitense William Morris che si impossessano delle altre medaglie. A Città del Messico nel 1968 Liano Rossini e Ennio Mattarelli sono chiamati a rappresentare ancora lItalia del trap ma il loro ruolo alla prima delle Olimpiadi travagliate di quellepoca sarà indiscutibilmente più pallido che in passato.

ROMANO GARAGNANI
Ci pensa Romano Garagnani a dare slancio al ruolo del tiravolismo azzurro in quella disciplina – lo skeet – che debutta appunto ai Giochi messicani. Latleta emiliano confeziona un poderoso 198/200 e si ritrova a condividere quella mattonella” della classifica con il sovietico Evgeni Petrov e con il tedesco federale Konrad Wirnhier: dallo spareggio Petrov risulterà medaglia doro e Garagnani dargento davanti al bronzo di Wirnhier. È Monaco 1972 a consentire il grande ritorno sulla scena olimpica del trap italiano in una forma che non è iperbolico definire trionfale. Anche per i contorni a suo modo leggendari sui quali ha insistito la narrativa giornalistica del tempo. NellOlimpiade bavarese – il primo grande evento sportivo in cui irrompe pesantemente la storia del mondo esterno allo sport e la politica internazionale con le sue espressioni più violentematura infatti limpresa di Angelo Scalzone e Silvano Basagni che conquistano rispettivamente la medaglia doro e la medaglia di bronzo. Il contesto generale e le prerogative tecniche dellimpresa stessa contribuiscono ad ammantare di leggenda quella prova degli azzurri della fossa olimpica, ma certamente il volano è anche determinato dal fatto che i Giochi olimpici sono frattanto fortemente mediatizzati.

ANGELO SCALZONE E SILVANO BASAGNI
Dei contorni della vittoria di Angelo Scalzone tutti conoscono quellaspetto che allora si definì più epico: nel confronto a 200 piattelli senza finale che costituiva la tipologia di gara dellepoca, il francesce Michel Carrega – uno degli atleti in assoluto più forti del momento – aveva completato le 8 serie di programma e si era insediato in vetta alla classifica a quota 198/200. Angelo Scalzone avrebbe effettuato la sua ultima serie poco dopo e un suo fan segnalò al campione di Castelvolturno che Carrega aveva appena concluso con un 25/25. Soltanto una serie piena dellazzurro avrebbe permesso di superare il forte atleta transalpino e un punteggio inferiore avrebbe costretto invece allo spareggio o alle altre posizioni del podio. Leggenda vuole che con serenità guasconesca Angelo Scalzone ammonisse il supporter dallimprovvido tempismo che anche lui avrebbe realizzato un 25 e avrebbe dunque risolto il problema. Quella serie piena si concretizzò realmente e Angelo Scalzone fu campione olimpico con il punteggio record di 199/200. Silvano Basagni completò il trionfo italiano con il bronzo conquistato a quota 195 alle spalle appunto del 198 di Michel Carrega. A fronte di una Olimpiade gloriosa per le insegne azzurre come quella di Monaco di Baviera, i Giochi canadesi di Montreal del 1976 sono invece particolarmente avari con lItalia del tiro a volo. Nel trap capitan Basagni non offre decisamente una prova alla sua altezza (ma occorre dire che in quelloccasione altri nomi celebri del panorama internazionale non brillano) ed è Ubaldesco Baldi a reggere sulle proprie spalle quella tradizione vincente del tiravolismo tricolore.

UBALDESCO BALDI E LUCIANO GIOVANNETTI
Latleta pistoiese è in corsa per la vittoria nelle prime giornate (la gara si svolge con la formula già collaudata del 75-75-50) ma nella giornata conclusiva il suo rendimento cala e Baldi a 189/200 affronta uno spareggio per largento e il bronzo in cui cede la medaglia più preziosa al portoghese Armando Marques Da Silva. Loro è dello statunitense Donald Haldeman: un quasi Carneade che a Monaco era rimasto confuso a metà classifica e dopo Montreal sparirà dal panorama agonistico. Come spesso è avvenuto nella storia del tiravolismo italiano, unedizione pallida dei Giochi dal punto di vista dei risultati ha rappresentato il prologo di una serie felicissima di partecipazioni. Ed è certamente il caso dellOlimpiade canadese di metà anni Settanta che prelude a quellimpresa transolimpica (nel senso che costituisce una sorta di sequel agonistico) che saprà realizzare Luciano Giovannetti nelle edizioni di Mosca 1980 e Los Angeles 1984. Quelle due edizioni olimpiche si inseriscono certamente nel novero delle grandi manifestazioni sportive in cui, comera accaduto per altri versi già a Monaco, la situazione internazionale condiziona fortemente gli eventi. LOlimpiade tedesca era stata quella dellazione terroristica di Settembre Nero e del celebre e controverso The Games must go on” pronunciato dal presidente del Cio Avery Brundage. Mosca 80 e Los Angeles 84 sono i Giochi dei boicottaggi incrociati che provocano lassenza – altrettanto incrociata – di alcuni dei maggiori talenti di ogni disciplina. Agonisticamente parlando gli anni Ottanta sono il decennio di Luciano Giovannetti che è cresciuto nella fiorente Toscana tiravolistica dei Basagni e dei Baldi e che di quei campioni raccoglie il testimone stabilendo il primato tuttora imbattuto nella fossa olimpica delle due vittorie, peraltro consecutive. Nella capitale dellUrss Giovannetti è incontenibile: i suoi 198 centri su 200 costringono allargento (a quota 196) il beniamino di casa Rustan Yambulatov e al bronzo il tedesco orientale Jörg Damme (a sua volta autore di 196). Quattro anni dopo a Chino Valley – nellimpianto dellarea orientale della metropoli californiana – Luciano Giovannetti è ancora doro. A Los Angeles il suo punteggio è 192/200. Non è ancora sufficiente per vincere: allo stesso risultato approdano il peruviano Francisco Boza e lo statunitense Daniel Carlisle che si arrendono però allazzurro in spareggio e si collocano in quellordine sul podio della 23a Olimpiade.

LUCA SCRIBANI ROSSI
A Los Angeles fornisce i nuovi primi segnali di vitalità anche lo skeet azzurro: a digiuno dallargento messicano di Garagnani (anche se Celso Giardini a Mosca aveva avuto lopportunità della vittoria e del podio che era sfumata in un difficile spareggio). In California si impossessa della medaglia di bronzo Luca Scribani Rossi che a quota 196 spareggia per largento con Ole Riber Rasmussen ma cede il metallo più prezioso allesperto atleta danese. Per loro non c’è niente da fare. Il titolo olimpico è di Matt Dryke che confeziona un monumentale 198/200 con quel suo suggestivo e inimitabile modo di sparare in cui la condizione fisico-atletica assume per la prima volta un ruolo fondamentale. Come tradizione vuole, a due edizioni luminose ne segue una certamente dai colori molto sfumati. Seoul 1988 è un vero smacco per le insegne azzurre del tiro a volo. A livello di regolamento si inaugura la nuova formula di gara che prevede la promozione dei primi 24 punteggi ai 150 piattelli e la finale a 25 bersagli (da sommare al precedente risultato) per i primi 6 punteggi a 200. LItalia del coach Silvano Basagni presenta nel trap una delle combinazioni più forti di tutti i tempi: Luciano Giovannetti, Daniele Cioni e Albano Pera. Cioni si ferma a 188, il biolimpionico di Pistoia si attesta a 190 e Pera tocca quota 193, ma sono punteggi che non consentono di accedere alla finale. Il duello per loro si svolge tra il sovietico Dmytro Monakov e lastro brillantissimo del tiravolismo mondiale. È il cecoslovacco Miroslav Bednarik che ha praticamente vinto tutto nel quadriennio di Seoul: titoli mondiali, titoli europei e prove del circuito di Coppa del mondo. I due atleti totalizzano 197/200, poi in finale collezionano un altro 25 e spareggiano a 222/225 per loro e largento. Il titolo va a Monakov e per Bednarik, campione del mondo in carica da due stagioni, c’è largento. Di oro potrà vincerne a bizzeffe, alle Olimpiadi e non solo: si disse allora. Sarebbe stato certamente così se un tragico incidente stradale non avesse invece fermato la vita di Miroslav Bednarik appena pochi mesi dopo lOlimpiade di Seoul.

MARCO VENTURINI
Anche nello skeet a Seoul la squadra azzurra può stare in corsa per le medaglie con Luca Scribani Rossi, Andrea Benelli e Celso Giardini. Ma anche gli specialisti dello skeet sono fuori dalla finale che laurea campione dellultima edizione olimpica degli anni Ottanta il tedesco dellEst Axel Wegner. A Barcellona 92 spetta proprio il compito di riscattare la scottatura coreana. Nel trap luomo di punta della nazionale del ct Ennio Mattarelli è frattanto Marco Venturini. Latleta toscano non è mai sceso dal podio del Mondiale nei 3 anni precedenti: ha vinto il suo primo titolo a Montecatini nell89, è stato terzo a Mosca nel 1990 e ancora campione del mondo a Perth nel novembre del 1991, quando mancano 8 mesi ai Giochi della Catalogna. A Barcellona con 195/200 Marco Venturini è in finale; restano invece fuori il debuttante Giovanni Pellielo e Daniele Cioni. Il toscano di Lamporecchio arriva allultimo piattello della serie finale con 23 centri: concludere con 24 significa approdare a 219/225 e andare a spareggiare per loro con il cecoslovacco Petr Hrdlicka e con il giapponese Kazumi Watanabe. Lultimo piattello è intercettato da Venturini ma fuma” soltanto e per il regolamento dellepoca è “zero”. Con 218 Venturini corre per il bronzo con due atleti fortissimi come Jörg Damme e il cecoslovacco Pavel Kubec. Loro, frattanto, è di Hrdlicka che oggi, e ormai da anni, è uno stimato coach della nazionale della Repubblica Ceca ma che prima e dopo Barcellona non ha scritto obbiettivamente nessuna pagina rilevante. Venturini vuole il bronzo e lo conquista e in quel momento per la nazionale azzurra con i postumi di Seoul è un bronzo che brilla come loro. Lo skeet a Barcellona è addirittura una pagina tutta speciale. Sul green di Mollet del Valles la cinese Shan Zhang (fino al 1992 quelle del tiro a volo sono di fatto gare miste in cui possono gareggiare sia uomini che donne) totalizza 200/200 e si qualifica da prima della classe per la finale. Tra i finalisti c’è anche Bruno Rossetti che ha concluso con 198. Sfiora laccesso Scribani Rossi con 197, mentre è pallida la gara di Benelli che è escluso addirittura dalla semifinale.

BRUNO ROSSETTI, ALBANO PERA, ENNIO FALCO
Nell’ultimo round Shan Zhang non è impeccabile come in qualificazione ma vince l’oro a quota 223/225. A 220 si attestano in quattro e tra loro c’è Rossetti che dallo spareggio esce meravigliosamente terzo alle spalle del peruviano Juan Giha. Trascorrono altri quattro anni. Un oro, un argento e un bronzo: è il patrimonio che l’Italia conquista alle Olimpiadi di Atlanta del 1996. Quello tra la Catalogna e la Georgia è il quadriennio felice del tiravolismo mondiale che passa da 2 a 6 eventi e trasforma il regolamento contraendo rispetto al passato il numero dei piattelli di ogni prova. Nel programma dei Giochi degli Usa ci sono trap, skeet e double trap sia nel maschile che nel femminile. Sul versante azzurro si parte in realtà abbastanza male con il trap che non raccoglie niente, ma Albano Pera nel double trap conquista la medaglia d’argento con 183/200 e un funambolico spareggio con il cinese Bing Zhang alle spalle dell’oro Russell Mark. E poi arriva l’impresa leggendaria dello skeet. Ennio Falco completa le 5 serie di qualificazione a punteggio pieno: 125/125. È in finale anche Andrea Benelli con 123. L’atleta capuano in finale totalizza 24 ed è campione olimpico a quota 149/150. Con 148 è d’argento il polacco Rzepkowski e Benelli a 147 deve spareggiare per il bronzo con il “monumento” Ole Riber Rasmussen ma ne esce trionfalmente con la medaglia al collo e in quel modo, dopo la partenza un po’ pallida, la squadra azzurra può davvero gridare al trionfo.

GIOVANNI PELLIELO E DEBORAH GELISIO
A Sydney nel 2000 l’Italia tiravolistica non centra neppure un oro, ma conquista medaglie importanti. Giovanni Pellielo è alla sua terza partecipazione ed è proprio nella gara dominata dall’australiano Michael Diamond (medaglia d’oro con 147/150) che il vercellese artiglia il suo primo podio olimpico: con 140/150 è terzo alle spalle dell’inglese Ian Peel. Sydney consacra a livello olimpico anche Deborah Gelisio che con 144/160 si aggiudica la medaglia d’argento su di un podio che vede al terzo posto la statunitense Kim Rhode e al primo la svedese Pia Hansen. Impossibile astenersi dal dichiarare che l’argento di Sydney, pur prestigiosissimo, è un abito innegabilmente un po’ stretto per un’atleta come l’azzurra bellunese che ha letteralmente dominato il double trap degli anni Novanta. Gelisio approda infatti a Sydney dopo aver vinto il titolo mondiale della specialità nel 1995 a Nicosia e poi ancora nel 1997 a Lima e nel 1998 a Barcellona. Non è certamente mai in discussione la vittoria di un’atleta o di un atleta perché è il campo a decretarla, ma è altrettanto vero – e lo abbiamo già segnalato proprio in questo excursus a proposito ad esempio di Marco Venturini o di Miroslav Bednarik – che i Giochi talvolta si facciano beffe del curriculum. L’Italia del tiro a volo conquista di nuovo l’oro ad Atene nel 2004, quando i Giochi tornano idealmente dove tutto era iniziato grazie all’intuizione di Pierre De Coubertin.

ANDREA BENELLI
Nello skeet sulle pedane ateniesi vince Andrea Benelli. Alla boa delle 5 serie è il finlandese Marko Kemppainen ad occupare la vetta con un impeccabile 125 e l’azzurro di Firenze insegue a 124. In finale è però Andrea Benelli ad essere il più preciso: compie l’intero percorso senza errori e sfruttando lo “zero” commesso invece da Kemppainen aggancia il finlandese a 149/150. Poi lo supera in shoot-off e va a celebrare la vittoria con il giro di campo di corsa più famoso della storia dello skeet. Ad Atene torna sul podio anche Giovanni Pellielo. Dopo il bronzo australiano, in Grecia Johnny trasforma quel metallo in argento: con 146/150 è secondo nella gara che premia con il titolo olimpico un Alexei Alipov davvero incontenibile che totalizza 149. Ma Pellielo non scende dal podio nel transito da Atene 2004 a Pechino 2008. Nella prima Olimpiade cinese della storia l’azzurro di Vercelli (a titolo di promemoria: campione del mondo nel trap nelle stesse sedi e negli stessi anni in cui aveva vinto il titolo iridato anche Deborah Gelisio nel double trap) conquista la sua terza medaglia olimpica. È ancora un argento. Johnny centra la finale con 120/125. A 121 sono approdati l’olimpionico in carica Alexei Alipov e il ceco David Kostelecky. La finale dell’atleta russo non è travolgente: Alipov totalizza soltanto un 21 ed è terzo a 142 alle spalle di Pellielo che con 23 si è attestato a 143. Ma è Kostelecky a sfoderare il prodigio: compone un 25 perfetto ed è campione olimpico a quota 146.

FRANCESCO D’ANIELLO E CHIARA CAINERO
Arriva un argento anche dal double trap maschile: lo procura il trentanovenne Francesco D’Aniello che si è avvicinato al tiro a volo relativamente tardi, ha compiuto un proficuo passaggio dalla fossa universale e dall’olimpica ma ha scoperto poi che il double trap è la disciplina in cui può esprimersi meglio. E a Pechino lo dimostra. Nell’iperuranio del double trap quella volta c’è Walton Eller: lo specialista americano, che qualcuno allora ribattezzò figlio del vento come Carl Lewis per la capacità di agguantare i doppi lanci più arditi anche in condizioni atmosferiche estreme, sulle pedane di Pechino confeziona un irraggiungibile 190/200 ma a 187 Francesco D’Aniello è d’argento e si ritaglia un legittimo posto nella storia gloriosa della Fitav. Indubbiamente se c’è un’atleta che si identifica con l’Olimpiade di Pechino, quella è però certamente Chiara Cainero. L’atleta di Udine approda all’Olimpiade cinese con un ruolino di marcia che nelle stagioni precedenti è stato già di gran pregio con presenze sul podio iridato sia nel 2006 che nel 2007. Ma si sa appunto che l’Olimpiade non chiede i documenti e costringe a vincere ora e adesso: nel momento che conta. Cainero sa come si fa. Quella dello skeet femminile è una gara corta con 3 serie di qualificazione e la finale. L’azzurra approda al traguardo dei 75 piattelli con 72 ed è prima. Un nubifragio si abbatte sul campo di Pechino durante la finale dello skeet femminile e sebbene Cainero, per sua stessa ammissione, abbia testato ogni situazione atmosferica in allenamento, non è la stessa impeccabile atleta della qualificazione: non va oltre il 21 ed è agganciata a 93/100 da due delle più forti skeettiste del momento: l’americana Kim Rhode e la tedesca Christine Brinker. Si va allo spareggio: Rhode e Brinker sparano prima di Chiara Cainero e commettono un errore. Nella fredda pioggia di Pechino Cainero a quel punto è ancora più fredda e non sbaglia aggiudicandosi la medaglia d’oro.

JESSICA ROSSI E MASSIMO FABBRIZI
Dici Londra 2012 e parli inevitabilmente di Jessica Rossi. È infatti la ventenne di Crevalcore a monopolizzare l’attenzione dei commentatori del tiro a volo nella terza Olimpiade londinese della storia. L’azzurrina – l’appellativo non è inappropriato perché Rossi era appena uscita dal Settore Giovanile e oggi addirittura sarebbe considerata ancora Junior – non si lascia suggestionare dall’atmosfera solenne e avvolgente che caratterizza ogni Olimpiade e allo stand dei Royal Artillery Barracks di Woolwich in qualificazione è impeccabile e conclude con 75/75. Con il 24 della finale Jessica Rossi è poi campionessa olimpica a quota 99/100 e stacca la seconda classificata, la slovacca Zuzana Stefecekova, di ben 6 piattelli. Per l’Italia del tiro a volo Londra 2012 è l’edizione dei Giochi in cui il trap riconquista il suo ruolo di punta dopo due edizioni in cui lo skeet era stata la disciplina dominante. Oltre all’oro di Jessica Rossi sulle pedane londinesi conquista una medaglia anche Massimo Fabbrizi. L’occasione è propizia: Michael Diamond, che ha concluso la qualificazione con 125/125, nella finale ad un colpo crolla ed è fuori dal podio. Massimo Fabbrizi ha 123 bersagli all’attivo e a quelli aggiunge 23 centri che lo proiettano al punteggio di 146 in cui la sua strada si incrocia con quella di Giovanni Cernogoraz. Ma è il croato a spuntarla nello spareggio: il responso di Londra dice Cernogoraz d’oro e Fabbrizi d’argento.

RIO 2016: 5 LE MEDAGLIE AZZURRE
Se cerchiamo invece l’edizione dei Giochi in cui l’Italia tiravolistica ha conquistato più medaglie, allora dobbiamo vedere alla voce: Rio 2016. Nell’Olimpiade brasiliana è vero trionfo per i colori italiani. Lo skeet femminile premia con la medaglia d’oro Diana Bacosi e con quella d’argento Chiara Cainero. Il regolamento è cambiato rispetto alle edizioni precedenti: si affrontano 3 serie di qualificazione per transitare poi da due semifinali parallele a 16 piattelli che promuovono quattro atlete ad una finale ancora di 16 piattelli. Nel rush finale si ritrovano a confrontarsi per la medaglia d’oro e per qualla d’argento proprie le atlete del coach Andrea Benelli ed è oro per Bacosi e argento per Cainero. Ma è prodigio azzurro anche nello skeet maschile con Gabriele Rossetti che a 21 anni, dopo il 121/125 della qualificazione, conquista il titolo olimpico con una semifinale e una finale impeccabili trasformando in oro il bronzo conquistato a Barcellona 92 da papà Bruno. Quasi superfluo precisare che sul podio del trap c’è ancora lui: Johnny Pellielo. L’azzurro è il migliore in qualificazione con 122/125, poi però la fase finale dei Giochi brasiliani curiosamente ripropone quel duello Italia-Croazia che con altri interpreti si era già visto a Londra. L’esito è lo stesso del 2012: Giovanni Pellielo conquista la medaglia d’argento e l’oro è del croato Josip Glasnovic. Il double trap celebra a Rio la sua ultima Olimpiade ed è Marco Innocenti a comporre una bella prova che si traduce in una prestigiosa medaglia d’argento alle spalle dell’oro del kuwaitiano Fehaid Al-Deehani.

DIANA BACOSI
L’Olimpiade più recente, quella di Tokyo che la pandemia del Covid ha costretto a trasferire nell’estate 2021, per l’Italia del tiro a volo non è stata certamente tra le più brillanti nonostante la formazione azzurra schierasse ottime atlete e ottimi atleti. Da Tokyo l’Italia del tiro a volo rientra comunque con il bel risultato del prezioso argento di Diana Bacosi. La campionessa olimpica di Rio in Giappone è prima alla boa della qualificazione con 123/125. In finale scala i diversi step e va al duello per il titolo con l’americana Amber English che precede l’azzurra per un soffio: 56/60 a 55. Quello di Diana Bacosi è dunque un argento che brilla quasi come l’oro ed è infatti la piastrella più recente di una lunga strada di tante prestigiose medaglie che il tiravolismo italiano ha conquistato ai Giochi.


Tratto da “Una strada azzurra a cinque cerchi”, di Massimiliano Naldoni, Caccia & Tiro 06-07/2024.


Olimpiadi di Tokyo 1964: in vetta Ennio Mattarelli, seguito dal sovietico Pavel Senichev e dallo statunitense William Morris.


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