No, non stiamo parlando delle caratteristiche macchie bianche sul collo di questi splendidi piccioni, ma dei pittori Macchiaioli che sono stati il movimento artistico italiano più impegnato e costruttivo dell’Ottocento. Ma allora che c’entra questo? Ma andiamo con ordine prima di soffermarci su questi re delle nostre campagne. Il movimento si formò a Firenze nella seconda metà di quel secolo con punto di incontro nel Caffè Michelangiolo, dove si discuteva e rifletteva sulle varie tematiche artistiche.
LA TEORIA DELLA MACCHIA
Il loro manifesto fu una reazione all’inerzia formale delle Accademie alla staticità di un’arte fatta nelle stanze chiuse ed affermava la teoria della macchia: la visione delle forme è creata dalla luce attraverso macchie di colore, distinte, accostate e sovrapposte le une alle altre. L’artista è così libero di rendere con immediatezza verista ciò che il suo occhio percepisce direttamente nel presente. Tra i principali esponenti troviamo Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Telemaco Signorini e Eugenio Cecconi solo per fare alcuni nomi. Quest’ultimo, conosciutissimo anche per le sue opere a soggetto venatorio, per trarre ispirazione frequentava la tenuta del critico Diego Martelli a Castiglioncello, splendido borgo marino presso Livorno, altro luogo di incontro degli esponenti del movimento. Qui si dedicava alla pittura della natura dal vero, resa con grande attenzione per la luce e rappresentata grazie a sapienti capacità nel disegno. La passione per la natura, gli animali e la caccia è un continuo stimolo per le sue opere, come la raffigurazione di popolane e contadine.
LE OPERE A SOGGETTO VENATORIO DEI FRATELLI GIOLI
Nella tenuta di Castiglioncello lavora en plein air con gli amici Adolfo Belimbau e Francesco Gioli. Francesco, assieme al fratello Luigi e al più giovane Giuseppe, fa parte di una grande famiglia di artisti che rappresentano la Maremma toscana e la campagna pisana. Giuseppe Gioli fu un grande cacciatore e la sua passione è raccontata in alcuni libricini, come il ricercatissimo “Uccelli e caccie più comuni del pisano e del livornese” con bellissime illustrazioni originali di molte cacce al tempo praticate. Dalla tela alle folaghe, alle starne o alla beccaccia. È in questo volumetto che è descritta la caccia al colombaccio detta “alla pisana”, praticata in quei tempi da capanni a terra nei campi coltivati, o la rara caccia vagante nelle pinete detta “alla livornese”.
Ci piace così immaginare questi pittori che, girando per le campagne, in cerca delle luminosità del vero si soffermavano ad osservare scene di caccia. I colombacci che scendono alla tesa, il cinghiale che compete con i cani, i più timidi fringuelli che ripetono il loro verso. Una campagna animata dall’uomo che ne è parte integrante con la sua vita e le sue passioni.
I Macchiaioli ci hanno regalato, con uso sapiente del colore, il ricordo di una Maremma che non esiste più, o forse è ancora viva nei nostri ricordi di cacciatori proprio grazie ai loro magnifici quadri.
Tratto da “I colombacci dei Macchiaioli”, di Carlo Romanelli – Barbara Biggi, Caccia & Tiro 10/2023.
Tra i pittori che hanno fatto parte del movimento artistico dei Macchiaioli Eugenio Cecconi, molto conosciuto per i suoi dipinti a soggetto venatorio – Foto Public domain