Siamo giunti settembre, un mese caro a tutti i cacciatori, che in questo periodo attendono l’inizio della stagione venatoria. Come ogni anno su questo numero pubblichiamo un articolo sui calendari che regolano tempi e specie del prelievo e come ogni volta ci ritroviamo a constatare quanto disuguale, in tutta la Penisola, sia il trattamento riservato ai cacciatori tra una regione e l’altra, anche quando queste sono confinanti. È quanto ormai vediamo accadere da anni, durante i quali assistiamo anche al sistematico ritardo con il quale la maggior parte delle Regioni delibera i calendari, disattendendo quanto previsto dall’articolo 18 della legge 157/92, che al punto 4 stabilisce che “Le regioni, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l’indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria”. Che siano proprio le stesse istituzioni a non rispettare le leggi rappresenta un fatto da stigmatizzare, ancor più perché ormai questo ritardo è diventato un’abitudine consolidata che non è priva di conseguenze, di cui fanno le spese i cittadini cacciatori, che vivono nell’incertezza delle date di apertura e preapertura, a volte fino ad agosto.
Ma questa non è certo la conseguenza più grave. Ancor più importante è che la data di approvazione dei calendari influisce anche su quella degli ormai puntuali ricorsi al Tar da parte delle associazioni anticaccia. Per fare ricorso al Tar c’è infatti un lasso temporale di 60 giorni e il mese di agosto non viene conteggiato. Per avere la discussione di un ricorso prima dell’inizio della stagione venatoria sarebbe quindi indispensabile che i calendari venissero approvati entro i primi di giugno. In questo modo ci sarebbe tutto il tempo per lo svolgimento del ricorso e l’eventuale modifica del calendario, non inficiando così le date di inizio della stagione venatoria.
Una delle cause che rallentano alcune Regioni nell’approvazione del calendario venatorio è indubbiamente l’assenza di un Piano faunistico regionale. Se il Piano (che ha la durata di 5 anni) non è presente, il calendario va sottoposto ad uno studio di incidenza, come previsto dalla Direttiva Habitat, e valutato dall’Assessorato regionale all’Ambiente, che ha 60 giorni per esprimersi e dire se ci sono delle modifiche da apportare. L’assenza dei Piani faunistici regionali allunga quindi ulteriormente i tempi di approvazione dei calendari.
Nel momento in cui scriviamo sono già stati fatti dei ricorsi al Tar: è stato rigettato il ricorso presentato in Sicilia, mentre le udienze per i calendari di Lombardia, Emilia-Romagna, Marche e Campania sono fissate a settembre, a stagione venatoria iniziata.
Il supporto dato in questi anni alle Regioni da parte del mondo venatorio, attraverso dati e studi scientifici, ha sicuramente portato alla stesura di calendari sempre più solidi ed equilibrati, anche se la strada, come si evince dal nostro articolo (a pag.12) è ancora lunga.
“Primo piano”, di Valeria Bellagamba, Caccia & Tiro 09/2023.
Il supporto dato in questi anni alle Regioni da parte del mondo venatorio, attraverso dati e studi scientifici, ha sicuramente portato alla stesura di calendari sempre più solidi ed equilibrati, anche se la strada, come si evince dal nostro articolo (a pag.12) è ancora lunga.