I territori di campagna e i boschi sono i giardini dei cacciatori, nei quali durante l’anno prestano la loro opera a favore di fauna e habitat, luoghi che poi, all’inizio della stagione venatoria, percorreranno per praticare la loro passione. L’ambiente in questo periodo è stato soggetto ad innumerevoli cambiamenti e stravolgimenti, a volte violenti, altre volte lenti ma altrettanto impattanti, che hanno conseguenze anche sulla fauna selvatica. È per questo che dalle nostre pagine prestiamo così tanta attenzione alle tematiche che lo riguardano, comprese quelle climatiche ed idrogeologiche, con la convinzione che solo un ambiente correttamente gestito possa garantire la presenza della fauna e la prosecuzione di quella storia venatoria millenaria che vede protagonisti uomo e animale. Sempre più in questi mesi quei fattori che influenzano l’ambiente hanno assunto un ruolo di primo piano. Prima è stata la siccità, poi a giugno le precipitazioni con le conseguenti alluvioni avvenute in Emilia-Romagna e Marche. Infine, ed eccoci arrivati a luglio, sono arrivati gli incendi. Come sono collegati tutti questi elementi apparentemente disgiunti? Ci sono due fili che li uniscono: il primo riguarda proprio le conseguenze che tali fenomeni hanno sull’ambiente, il secondo riguarda il ruolo dell’uomo nella loro gestione e prevenzione. Del secondo, però, poco si è parlato e si parla. Si sta facendo largo un nuovo estremismo climatico-ambientale preoccupante – perché è sempre più forte e globale – che parla di lotta al cambiamento climatico prevedendo una serie di limitazioni ai cittadini e alle attività antropiche, che in ogni evento estremo vede la colpevolizzazione dello stile di vita e delle attività dell’uomo, con il pericoloso avanzare dell’idea, oggi divenuta ideologia, che possano essere entrambi “sacrificabili”. Certo, tutti possiamo contribuire a migliorare l’ambiente e abbiamo il dovere di farlo, ma ciò che colpisce, in questo strano clima politico-mediatico, è che dietro ad una apparente attribuzione di responsabilità si nasconda una profonda deresponsabilizzazione. Se da un lato si parla di inquinamento, effetto serra, riscaldamento climatico e di massimi sistemi per vedere un miglioramento nei prossimi decenni, dall’altro non si parla di cosa si possa fare oggi, nel concreto, per adattarsi a questi fenomeni e per fare il modo provochino sempre meno danni. Di fronte agli eventi estremi troppo si è parlato di cambiamenti climatici e poco o pochissimo di ciò che possono fare le Istituzioni gestendo il territorio in maniera appropriata.
La “maniera appropriata” prevede l’intervento umano nella pulizia degli argini di fiumi e fossi, il controllo delle infrastrutture, la manutenzione dei boschi e tutta una serie di attività che poi, all’atto pratico, trovano un grande ostacolo: l’ideologia di coloro che sostengono che la natura deve fare il suo corso, che intervenire significa minacciare la biodiversità, che per salvaguardare la natura l’uomo debba semplicemente abbandonarla, farsi da parte. È questa ideologia che spesso impedisce alle Istituzioni e alle amministrazioni, a vari livelli, di operare in maniera efficace, un’ideologia che purtroppo anche in Europa sembra essersi fatta strada, come abbiamo potuto vedere, ad esempio, con la vicenda della Legge europea sul ripristino della natura. Nata con l’ottimo proposito di combattere il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e di ridurre i rischi per la sicurezza alimentare, nella prima stesura proposta dalla Commissione conteneva proposte che rischiavano di mettere in seria difficoltà l’agricoltura e di rendere ancora più insicuri e pericolosi i nostri corsi d’acqua, solo per citare alcuni dei provvedimenti poi cancellati dagli emendamenti votati lo scorso luglio al Parlamento Europeo. Ora, per arrivare all’applicazione della legge, l’iter proseguirà in autunno, ma anche quanto avvenuto in sede europea testimonia di un estremismo di chi vuole difendere la natura a tutti i costi, anche a discapito dell’uomo e forse con conseguenze controproducenti per la stessa natura che si vorrebbe difendere. “La tutela dell’ambiente e la perdita di biodiversità – ha detto Coldiretti dopo la votazione di luglio al Parlamento Europeo – si combatte non con posizioni ideologiche, togliendo terreni produttivi dalla disponibilità degli agricoltori, o vietando interventi su decine di migliaia di km di percorsi fluviali (con gli effetti drammatici che ne derivano) ma piuttosto favorendo lo sviluppo della multifunzionalità ed opponendosi all’omologazione ed alla standardizzazione delle produzioni”. Ecco una proposta pragmatica, fatta da chi vive sul territorio e lo conosce, esattamente come i cacciatori, che con una raccolta firme si sono resi disponibili a dare il loro contributo a questa importante fase europea della Legge sul ripristino della natura e che ci auguriamo possano trovare ascolto.
“Primo piano”, di Valeria Bellagamba, Caccia & Tiro 08/2023.
L’ideologia spesso impedisce alle Istituzioni e alle amministrazioni, a vari livelli, di operare in maniera efficace, un’ideologia che purtroppo anche in Europa sembra essersi fatta strada, come si è potuto vedere, ad esempio, con la vicenda della Legge europea sul ripristino della natura.